CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE: OPS! L’ANTITRUST E’ ARRIVATA ANCHE IN CINA
In realtà l’Antitrust in Cina ci è arrivata già da tempo in quanto la Anti-Monopoly Law of the People’s Republic (“AML”) è in vigore dal 1 Agosto 2008 e ad essa si sono poi aggiunte, a decorrere dal Febbraio 2011, le Regulation on Procedures for Administrative Enforcement of Anti-Price Monopoly. Magari in Italia ne abbiamo avuto soltanto degli echi che l’hanno fatta apparire lontana dai pensieri delle Imprese italiane che vanno (o cercano di andare..) all’arrembaggio del mercato cinese, e si pensi alla decisione del 18 Marzo 2009 con cui il MOFCOM (“Ministry of Commerce”) ha vietato l’acquisizione della Huiyuan da parte della Coca-Cola o ai più recenti casi in cui le Autorità Cinesi hanno sanzionato cartelli tra imprese cinesi che si accordavano per distorcere la concorrenza sul mercato , a tutto danno di consumatori e clienti (e qui si può fare riferimento al c.d. caso “LDC” con cui la NDRC ha imposto una multa pari a circa 57 milioni di dollari a sei produttori di televisori LCD, tra due produttori Coreani).
Acquisizioni, Cartelli e nulla più nell’antitrust Cinese? Niente di preoccuparsi per le Imprese Italiane che si affannano a trovare dei distributori per i loro prodotti in Cina? Non proprio perché è pur vero che la AML è relativamente recente ma ormai le competenti Autorità Cinesi, e in particolare la NDRC, la National Development and Reform Commission, sono passate dalle violazioni più importanti, o comunque più appariscenti, quelle dei cartelli anti-competitivi, alle più diffuse pratiche anti-competitive che si riscontrano negli accordi verticali, tra cui per l’appunto i contratti di concessione. Alcune recenti Sentenze dei Tribunali Cinesi, e alcune decisioni delle sezioni locali della NDRC hanno dunque accesso i riflettori sulle clausole dei contratti di concessione con cui il preponente impone al concessionario dei prezzi minimi di rivendita, l pratica che nel ditotto della concorrenza va sotto il nome di RPM – Resale Price Maintenance.
Come noto, nell’ambito della Unione Europea le pratiche di Resale Price Maintenance (“RPM”) sono considerate distorsive della concorrenza e quindi vietate, e il riferimento è all’art. 4 (a) del Reg. UE 330/2010 che identifica quali restrizioni gravi (“hard-core restrictions”) “gli accordi o pratiche concordate volti a stabilire, direttamente o indirettamente, un prezzo di rivendita fisso o minimo o un livello di prezzo fisso o minimo che deve essere rispettato dall’acquirente”, e al par. 47 delle Linee direttrici sulle restrizioni verticali, ove sono individuate una serie di disposizioni contrattuali o pratiche concordate che, seppur indirettamente, hanno come risultato l’imposizione di un prezzo minimo o di un prezzo fisso.
Reg. UE 330/2010 in tema di accordi verticali
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2010:102:0001:0007:IT:PDF
Linee direttrici sulle restrizioni verticali
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:32000Y1013(01):IT:HTML
In Cina delle RPM clauses si occupa l’art.14 della AML (“Any of the following agreements among business operators and their trading parties are prohibited: (1) fixing the price of commodities for resale to a third party; (2) restricting the minimum price of commodities for resale to a third party; or (3) other monopoly agreements as determined by the Anti-monopoly Authority under the State Council), ma è soltanto nel corso del 2013 che l’interesse delle autorità antitrust per le politiche di prezzo imposte dai principals ai loro concessionari.
“The White Spirit Case” – Si comincia con le sanzioni imposte dalle sanzioni imposte dagli uffici locali della NDRC, rispettivamente di Guizhou e Sichuan, a due, non banali, produttori cinesi di liquori, Wuliangye Group and Kweochow Moutai (e chi è stato in Cina ben conosce il Moutai …), peraltro entrambe società statali: RMB 247 milioni (circa 40 milioni di dollari USA) a carico della Moutai e RMB 202 milioni (circa 33 milioni di dollari USA) per Wuliangye. Da notare che, a differenza di quel che accade in Europa, dove le sanzioni antitrust sono calcolate sulla base di una percentuale (al massimo il 10%) del fatturato dell’anno precedente, l’art. 46 della AML dispone che debba essere confiscato anche l’indebito profitto derivante dalla pratica concorrenziale posta in essere.
La colpa delle due società era quella di aver predisposto, negoziato e sottoscritto con i loro concessionari dei contratti di distribuzione che obbligavano i concessionari medesimi a non vendere al di sotto di un prezzo minimo imposto loro dai produttori di liquore, a pena di dover pagare al concedente delle penali (poi effettivamente applicate a quanti avevano praticato prezzi inferiori a ai prezzi minimi imposti).
Lineare il ragionamento degli uffici locali della NDRC (e il riferimento qui è al caso Wuliangye): 1. Utilizzando la propria posizione di forza il produttore aveva imposto ai concessionari prezzi minimi di vendita. 2. Così facendo era stata ostacolata la concorrenza intra-brand, quella tra distributori autorizzati appartenenti alla stessa rete commerciale, e la stessa concorrenza inter-brand, quella tra concessionari appartenenti a reti commerciali diverse, in quanto molti dei concorrenti della Wuliangye gioco forza ne avevano seguito l’esempio nell’imporre clausole di Resale Price Maintenance, 3. Last but not least, le RPM clauses introdotte nei contratti di concessione avevano impedito ai consumatori di comprare i prodotti a un prezzo inferiore.
- Rainbow v. Johnson & Johnson Medical (China) Ltd– Più approfondita, e per questo probabilmente più interessante, la vicenda in questione non fosse altro per il fatto che si riferisce non tanto ad un provvedimento della NDRC quanto piuttosto a una controversia giudiziale, la prima in tema di accordi verticali, che vedeva coinvolta la Johnson & Johnson (“J&J”) chiamata in causa dal suo (ex)distributore di Pechino, la Rainbow Medical Equipment and Supply Co, con quest’ultimo che contestava una clausola contenuta nel contratto di distribuzione della J&J che per l’appunto prevedeva l’obbligo per il distributore di rivendere i prodotti contrattuali ad un prezzo inferiore al prezzo minimo indicato dalla J&J. In primo grado, con sentenza emessa il 18 Maggio 2012, la First Intermediate People’s Court di Shanghai aveva respinto la domanda presentata dalla Rainbow, ritenendo che l’esistenza di una RPM clause non fosse di per sé sufficiente per dimostrare un comportamento anti-competitivo da parte della J&J (e sposando qui nella sostanza la c.d. rule of reason che ritroviamo nell’antitrust USA ma non in quella UE), e che spettasse alla Rainbow dimostrarne gli effetti anti-competitivi, cosa che la Rainbow, a detta della Corte, non aveva fatto.
In appello la sentenza di primo grado è stata completamente ribaltata e la People’s High Court di Shanghai ha condannato al J&J a pagare alla Rainbow un risarcimento di RMB 530.000 (Rainbow aveva chiesto un risarcimento di 14 milioni..), calcolati sulla base dei mancati profitti derivantile dall’inclusione di una RPM clause nel contratto di distribuzione utilizzato dalla J&J in Cina. Nel prendere la sua decisione la High Court di Shanghai ha preso in considerazione (i) il livello di concorrenza già presente sul mercato e la quota di mercato detenuta dalla J&J, (ii) le motivazioni addotte dalla J&J per l’imposizione di un prezzo minimo di rivendita ai suoi distributori, e (iii) gli effetti sulla concorrenza (positivi e negativi) derivanti dall’imposizione di un prezzo minimo di rivendita.
Quali conclusioni trarre dalle vicissitudini della Wuliangye,della Mautai e della J&J? In primo luogo che la vastità geografica del mercato e la conseguente decisione di entrare sul mercato attraverso una rete successivamente estesa comporta la necessità di strutturare i contratti di distribuzione che intendiamo proporre ai nostri rivenditori cinesi anche in funzione della normativa antitrust locale, la AML. Ciò ovviamente in funzione dell’importanza del nostro brand e della quota di mercato che abbiamo già raggiunto / che prevediamo di raggiungere sul mercato Cinese e del grado di effettiva concorrenza presente sul mercato di riferimento. Non che la AML preveda niente di comparabile con la “De minimis Notice” UE (vedi post già qui pubblicato GLI ACCORDI “DI SCARSA IMPORTANZA” DELLE PICCOLE IMPRESE: QUANDO LA NORMATIVA ANTITRUST (FORSE) NON SI APPLICA OVVERO LA COMUNICAZIONE “DE MINIMIS” DELLA COMMISSIONE UE), ma, sempre che non sia smentita dalle future pronunce dei Tribunali, rimane il fatto che la First Intermediate People’s Court di Shanghai ha statuito che una RPM clausenon è di per sé anticompetitiva, in quanto i suoi effetti devono comunque essere valutati nella pratica, alla luce dell’effettivo impatto sul mercato di riferimento.
Anti-Monopoly Law of the People’s Republic
http://www.china.org.cn/government/laws/2009-02/10/content_17254169.htm
Regulation on Procedures for Administrative Enforcement of Anti-Price Monopoly
http://www.brics2011.org.cn/english/jzlt_en/jzfg_en/201107/t20110726_111639.html
Marco Bianchi 2016 © riproduzione riservata

