L’INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO NEI SISTEMI DI COMMON LAW E DI CIVIL LAW

Nel diritto inglese è presente una regola interpretativa del tutto identica a quella prevista dall’art. 1363 c.c., che prevede la cosiddetta interpretazione complessiva. Ciò che distingue le norme sull’interpretazione dei contratti del diritto inglese dalle nostre … è che lo scopo dell’attività ermeneutica non è la scoperta della comune intenzione delle parti in senso soggettivo, ma dell’oggettivo significato che, nel contesto e nelle circostanze in cui il contratto è stato concluso, un reasonable man avrebbe attribuito alle espressioni usate” Cass. Civ. sez.  I, 2 novembre 1995, n. 11392.

Schematizzando in maniera molto sommaria il differente approccio adottato dai due sistemi giuridici è possibile osservare che nella common law, ed in particolar modo nel diritto inglese, storicamente la teoria del contratto sia stata ispirata dalla volontà di assicurare certezza e prevedibilità alle pratiche commerciali.

Spetta dunque alle parti valutare i rischi connessi con la transazione che intendono realizzare e predisporre di conseguenza un testo contrattuale che ognuna di loro ritenga adeguato a contemperare le rispettive esigenze ed a preservare gli interessi di entrambe. In questa situazione, in  linea di principio il ruolo tradizionalmente affidato al giudice è quello di  accertare la volontà dei contraenti sulla base di quanto appare dalla lettera  del contratto che essi hanno sottoscritto, senza che le parti possano far  valere, se non in misura limitata, come si dirà meglio appena più oltre,  circostanze e fatti esterni al testo contrattuale (e quindi, almeno  tendenzialmente, sono esclusi i riferimenti alle trattative, ai comportamenti  successivi alla sottoscrizione del contratto e ad elementi che risultino “esterni” al testo contrattuale) e senza  che possano trovare applicazione nella valutazione del giudice principi di  buona fede o ragionevolezza.

Ciò in quanto l’accertamento di elementi esterni al contratto piuttosto che la valutazione in merito alla buona fede ed alla ragionevolezza del comportamento dell’una e dell’altra parte, in quanto demandato alle circostanze del caso concreto, finirebbe per introdurre un elemento di incertezza e di discrezionalità nell’interpretazione del contratto, a tutto detrimento della certezza delle pratiche commerciali tra imprenditori. Interpretando il contratto esclusivamente alla stregua di un  mero strumento di tecnica mercantile e privilegiando la libertà delle parti di  determinarne i contenuti, ritiene che il giudice debba evitare, per quanto  possibile, di interferire con la volontà dei contraenti, quale risulta dal  contratto, al punto da arrivare a decisioni che appaiono allo stesso giudice  palesemente unfair, seppur rispettose  del significato letterale del testo contrattuale, sulla base del principio “judges do not make the contract for the  parties/i giudici non scrivono, o (ri)scrivono il contratto per le parti”,  oggi criticato, ma fortemente radicato nella tradizione dei sistemi di common law.

Per contro nel diritto italiano, e, seppur con diverse  gradazioni, anche negli altri sistemi di civil  law, le regole interpretative del contratto hanno come scopo di garantire  la “giustizia del contratto” (o  meglio dello specifico contratto che si debba interpretare), assicurando il  rispetto delle reali intenzioni delle parti, quali risultano anche al di là del  mero dato contrattuale e se del caso, applicando, seppur in via sussidiaria, il  criterio della buona fede.

© riproduzione riservata – Aprile 2012

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