LA VIOLAZIONE DEL DIVIETO DI RESALE PRICE MAINTENANCE (R.P.M.) NEI CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE UE: I CASI GUCCI CHLOE’, LOEWE, DJI E NITAL

  1. PREMESSA: LA VIOLAZIONE DEL DIVIETO DI RESALE PRICE MAINTENANCE E LE SUE CONSEGUENZE
  2. LA R.P.M. NEI RECENTI CASI GUCCI, CHLOE’ E LOEWE (ANTITRUST UE), E DJL/NITRAL (AGCOM -ANTITRUST ITALIANA)
  3. IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA. MA I MANAGER NON LO CONOSCONO O SI ILLUDONO DI POTERLO ELUDERE?
  4. QUALE APPROCCIO ALLA REDAZIONE DI UN CONTRATTO A CUI SI APPLICA UN REGOLAMENTO DI ESENZIONE PER CATEGORIA?

Il Regolamento (UE)[1] 720/2022 (“Reg.720/2022” o “Regolamento”) riconosce una esenzione per categoria[2] agli accordi verticali[3] (che ricomprendono anche i contratti di concessione) e pratiche concordate[4]  che rispettino le condizioni dettate dal Regolamento stesso, consentendo di presumere (presunzione di legalità) che tali accordi verticali e pratiche concordate non violino i principi dettati dal diritto della concorrenza UE (i.e. art. 101.1 Trattato Funzionamento Unione Europea).

L’esenzione, e la conseguente presunzione di legalità, viene però meno qualora gli accordi contengano o, nel caso delle pratiche concordate, sostanzino, una delle restrizioni fondamentali alla concorrenza (hardcore restrictions) previste dal Regolamento (art. 4 Regolamento).

La prima restrizione (art.4. (a)) riguarda la R.P.M.Resale Price Maintenance[5] (anche detta Price Fixing) ovverosia “la restrizione della facoltà dell’acquirente (i.e. ai fini di questo post il concessionario) di determinare il prezzo di vendita (dei prodotti oggetto del contratto di concessione), fatta salva la possibilità per il fornitore (i.e. ai fini di questo post il concedente)  di imporre un prezzo massimo di vendita o di raccomandare un prezzo di vendita, a condizione che questi non equivalgano ad un prezzo fisso o ad un prezzo minimo di vendita per effetto delle pressioni esercitate o degli incentivi offerti da una delle parti”.

 È questa una restrizione “per oggetto”[6] vietata ai sensi dell’art.101.1. del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) in quanto si propone di “impedire, falsare o restringere il gioco della concorrenza” all’interno del mercato UE.

  1. LA R.P.M. NEI RECENTI CASI GUCCI, CHLOE’ E LOEWE (ANTITRUST UE), E DJL/NITRAL (AGCOM -ANTITRUST ITALIANA)

2.1. GUCCI CHLOE’ E LOEWE

Si tratta di casi distinti (GUCCI AT.40840 – CHLOE’ AT.40880 – LOEWE AT.40881[7]) ove le tre società, seppur agendo in maniera indipendente, hanno tenuto comportamenti tali da impedire ai rispettivi distributori al dettaglio (retailers nella versione inglese del comunicato  stampa della Commissione) di fissare i propri prezzi al dettaglio offline e online dei prodotti della società mandanti, con il risultato di limitare la concorrenza sui prezzi tra i distributori terzi, e di conseguenza con un potenziale danno per i consumatori UE.

In sintesi i comportamenti anticoncorrenziali posti in essere da ognuna delle tre società, tutti riconducibili alla R.P.M., erano i seguenti:

(i) imposizione ai distributori dell’obbligo di non discostarsi dai prezzi di rivendita raccomandati dalle tre società (prezzi che quindi più che raccomandati diventavano proprio prezzi imposti);

(ii) imposizione ai distributori del livello di sconti che avrebbero potuto praticare, senza alcuna possibilità di discostarsi da tali livelli, arrivando anche a proibire temporaneamente ai rivenditori di praticare sconti di alcun genere;

(iii) imposizione ai distributori dell’obbligo di effettuare saldi soltanto nei periodi loro indicati dalle tre società;

(iv) imposizione ai distributori da parte della sola Gucci di restrizioni alla vendita online di una sola linea di prodotti, con espressa richiesta di interromperne la vendita su internet.

A ciò si aggiunga che ognuna delle tre società monitoravano i prezzi praticati dai propri distributori per verificare che non ci fossero scostamenti rispetto alle restrizioni loro imposte.

Sulla base delle risultanze di una serie di visite senza preavviso effettuate nel 2023 presso le sedi di Gucci, Chloe e Loewe, nel 2024 la Commissione ha avviato una procedura formale che si è conclusa il 14 Ottobre 2025 con la Commissione che ha inflitto ammende per poco meno di 120 milion € (GUCCI), più di 19 milioni € (CHLOE’), 18 milioni € (LOEWE)[8].

Può essere utile riportare le parole con cui Teresa Ribera, Commissaria europea per la concorrenza, ha commentato la chiusura della vicenda “In Europa, tutti i consumatori, qualunque cosa comprino e ovunque la comprino, online e offline, hanno diritto ad una reale concorrenza sui prezzi …la concorrenza leale e la tutela dei consumatori, valgono per tutti, in egual misura[9].

2.2. DJI E NITAL

Il 29 Ottobre 2025 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato italiana (AGCOM) ha avviato un’istruttoria nei confronti di DJI Europe B.V., società del Gruppo cinese DJI, leader mondiale nella produzione di droni civili, e del suo importatore italiano la NITAL S.p.A.[10].

Anche in questo caso le condotte contestate dall’AGCOM sembrano ricadere nell’ambito della R.P.M. – Resale Price Maintenance in quanto DJI Europe e NITAL avrebbero messo in pratica dei comportamenti volti a limitare la capacità dei rivenditori autorizzati di stabilire il prezzo di rivendita online,

(i) imponendo prezzi minimi di rivendita, così riducendoli a prezzi fissi non modificabili dai rivenditori che, a tal fine, dovevano fare periodico riferimento ad un listino prezzi pubblicato su uno specifico sito web di NITAL.[11];

(ii)  blocco delle forniture ai rivenditori che non rispettavano le istruzioni di DJI e praticavano prezzi di rivendita diversi da quelli periodicamente indicati da DJI tramite NITAL;

(iii) obbligo di acquisti dei droni DJI in Italia e divieto di sconti, pena la risoluzione del contratto per i i rivenditori “disobbedienti”.

La data di chiusura del procedimento indicata dall’AGCOM è il 30 giugno 2027.

  1. IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA. MA I MANAGER NON LO CONOSCONO O SI ILLUDONO DI POTERLO ELUDERE?

Come spiegare i casi di R.P.M. sopra sintetizzati? Una prima ipotesi è quella che manager che per anni hanno pensato di imporre ai propri rivenditori autorizzati, con controlli costanti e minacce, più o meno velate, quello che potevano fare e quello che non potevano fare, come, dove e a che prezzo rivendere i prodotti da distribuire sul mercato, fossero completamente all’oscuro dell’esistenza di leggi e normative da rispettare, diritto della concorrenza incluso?

Come è possibile? Erano manager talmente “chiusi” nel microcosmo dell’azienda per cui lavoravano, tutti compresi del loro potere aziendale da pensare che la gestione del “business” fosse di loro esclusiva competenza? O forse i manager si illudevano di essere “i padroni” della realtà operativa del business, lasciando ai giuristi il legalese, la forma e non la sostanza?

Quantomeno nei casi GUCCI e LOEWE ci potrebbe essere anche una seconda ipotesi. La limitazione alla concorrenza causata dall’introduzione di una politica di Resale Price Maintenance da parte di queste due società era durata per otto anni (dall’aprile 2015, data di inizio della politica di Resale Price Maintenance fino all’aprile 2023, data della conclusione di tale politica) e in questo lasso di tempo chi ne aveva ne aveva tratto giovamento?

Probabilmente non solo le due società coinvolte che in quegli otto anni avevano eliminato la possibilità di una concorrenza sui prezzi intra-brand, impedendo a tutti i distributori o ad alcuni di essi di abbassare il proprio prezzo di vendita dei prodotti delle due società coinvolte, con la conseguenza di mantenere sul mercato di tali prodotti un prezzo ed un margine di guadagno adeguato (per le due società …),  ma forse anche gli stessi manager commerciali delle società mandanti che per otto anni, eliminando la concorrenza intra-brand,  hanno potuto presentare  dei risultati di tutto rispetto in funzione dei quali la società aveva poi deliberato bonus e gratifiche di fine anno.

  1. Quale approccio alla redazione di un contratto a cui si applica un regolamento di esenzione per categoria?

Tenuto conto di tutto quanto sopra, quale dovrebbe essere l’atteggiamento dei legali chiamati a predisporre un contratto che deve rispettare le disposizioni di un Regolamento di esenzione (UE) per categoria[12]?

In primo luogo respingere l’eventuale approccio dei manager convinti che la quotidiana operatività del business, incluso il rapporto con i distributori, sia di loro esclusiva competenza. E ciò anche considerato che il Regolamento si applica non solo ai contratti ma anche alle pratiche concordate, cioè ai comportamenti con cui concedente e concessionario gestiscono il loro rapporto sul mercato.

In ambito UE, e non solo, il legale, giurista d’impresa o avvocato che sia, non dovrebbe quindi guardare solo alla forma, al “legalese”, limitandosi a dettare nel contratto gli essentialia negotii tipici di quella particolare tipologia contrattuale, ma dovrebbe anche e soprattutto esplicitare quello che ognuna delle parti può fare e quello che invece gli è consentito, proprio in virtù dell’eventuale Regolamento di esenzione per categoria applicabile.

Nella mia personale esperienza di giurista d’impresa diversi anni fa mi è capitato di “negoziare” con i concessionari e i manager commerciali della multinazionale italiana che allora assistevo l’impostazione da adottare nella redazione del nuovo contratto di concessione europeo che la multinazionale avrebbe dovuto introdurre in conseguenza dell’entrata in vigore di un nuovo Regolamento comunitario specificatamente dedicato ai contratti di distribuzione nel settore ove la multinazionale operava.

L’auspicio congiunto di concessionari e manager era quello di predisporre un testo contrattuale “essenziale” che, naturalmente senza contraddire apertamente le disposizioni del Regolamento, non esplicitasse le nuove limitazioni che esso imponeva (la qual cosa, almeno nell’intenzione di commerciali e concessionari, avrebbe presumibilmente consentito di eludere le disposizioni del Regolamento[13]  lasciando spazio a pratiche, non scritte (ma  concordate …).

L’auspicio avrebbe potuto comportare una netta crasi tra la forma, il contratto, e la sostanza, il modo con cui esso veniva gestito sui mercati europei dalla Multinazionale e dai suoi concessionari).

Per parte mia spiegai che lo scopo del suggerimento mi era ben chiaro e che, a mio modo di veder, sarebbe stato ben chiaro anche alla Commissione UE (in quell’occasione, con linguaggio agiuridico ma efficace, ricordo di aver utilizzato il termine “cca nisciuno è fesso”).

L’auspicio venne quindi da me disatteso e nel contratto coniugai la forma (i.e. il legalese) e la sostanza (i.e. quello che si può fare e quello che invece non si può fare) e la transizione tra il “vecchio” e il “nuovo” passò senza problemi e senza rischi di sorta.

Non così accadde ad alcuni concorrenti della Multinazionale che dopo aver adottato l’approccio “sintetico” suggerito dai rispettivi manager commerciali e dai concessionari, se lo videro contestare dall’Antitrust europea e furono quindi costretti a ritornare frettolosamente sui propri passi.

Marco Bianchi © riproduzione riservata – novembre 2025

[1] Nel diritto UE, a differenza delle Direttive la cui efficacia è subordinata al loro recepimento nella legislazione dei singoli Stati membro, i Regolamenti sono efficaci e direttamente applicabili in tutti gli Stati membri, senza la necessità di atti di recepimento nazionali.

[2] L’applicazione del Regolamento è subordinata al fatto che le imprese interessate non superino le quote di mercato indicate dallo stesso Regolamento (art.3)

[3] Art. 1.1. a) “per «accordi verticali» si intendono gli accordi o le pratiche concordate tra due o più imprese, operanti ciascuna, ai fini dell’accordo o della pratica concordata, ad un livello differente della catena di produzione o di distribuzione, e che si riferiscono alle condizioni in base alle quali le parti possono acquistare, vendere o rivendere determinati beni o servizi;”

[4] Nel diritto della concorrenza UE per pratiche concordate si intendono pratiche che, con o senza un accordo formale concluso tra le parti, sono anticoncorrenziali. Esse possono derivare da contatti diretti o indiretti tra società allo scopo di influenzare l’andamento dei mercati, o, per dirla proprio con le parole dell’art.101.1. TFUE, di “impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno” (i.e. il mercato UE).

[5] Il divieto di R.P.M. è previsto anche dal diritto della concorrenza di altri Stati, la Cina per esempio (vedi il mio post CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE: OPS! L’ANTITRUST È ARRIVATA ANCHE IN CINA) e gli U.S.A. ove i singoli Stati hanno specifiche leggi in tema di diritto della concorrenza che prevedono anch’essi il divieto di R.P.M, temperato in alcuni Stati dalla c.d. “rule of reason”.

[6] L’art 101.1. distingue tra le “restrizioni per oggetto”, che si presumono essere sempre anticompetitive, e le “restrizioni per effetto”, per cui, per essere considerate limitative della concorrenza, l’Autorità della Concorrenza deve prima effettuare una valutazione dei loro effetti sui mercati interessati.

[7] Al momento in cui scrivo questo post i testi delle tre decisioni non sono ancora disponibili.

[8] Rispetto all’importo originario che avrebbe potuto essere applicato, tutte e tre le ammende sono state ridotte in quanto le società hanno collaborato con la Commissione. La riduzione è stata del 50% per GUCCI e LOEWE e, per CHLOE’, del 15%.

[9] Milano Finanza “La Commissione UE sanziona per 157 milioni Gucci, Chloè e Loewe” (15 Ottobre 2025)

[10] Il testo del comunicato stampa si può leggere all’indirizzo https://www.agcm.it/media/comunicati-stampa/2025/10/I878

[11] Ciò sul presupposto, dichiarato da DJI durante le periodiche riunioni con i propri rivenditori, con cui DJI chiedeva informazioni di dettaglio sul business dei rivenditori che non si adeguavano, che le leggi europee “non si applicavano a un’impresa cinese come la DJI (sic!)”

[12] Oltre al Reg. 720/2022 in tema di accordi verticali si possono citare il Regolamento (UE) 2023/1066 del 10 giugno 2023 in tema di accordi di ricerca e sviluppo, il Regolamento (UE) 2023/1067 del 10 giugno 2023 in tema di accordi di specializzazione ed il Regolamento (UE) 316/2014 del 21 marzo 2014 relativo agli accordi di trasferimento di tecnologia.

[13] Il Regolamento in questione era il Regolamento (UE) n. 330/2010 in materia di accordi verticali poi sostituito dal Reg. 720/2022.

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