IL REGOLAMENTO (UE) 720/2022: CONTRATTI DI CONCESSIONE E VENDITE ONLINE

  1. L’approccio alle vendite online adottato dalla Commissione UE nel Regolamento 720/2022

L’impostazione adottata dalla Commissione UE all’atto dell’emanazione del precedente Regolamento (UE) 330/2010 era caratterizzata, invero un po’ apoditticamente, dalla convinzione che i due canali di vendita, online e offline, dovessero essere considerati “di pari dignità”, ed infatti gli Orientamenti 2010 qualificavano come restrizione fondamentale l’imposizione al concessionario[1] di criteri per le vendite online che non fossero nel complesso equivalenti a quelli imposti per un punto vendita “non virtuale”[2].

Sebbene abbia la stessa struttura del Regolamento 2010, e quindi soglia di mercato, superata la quale non è più possibile usufruire dell’esenzione di cui all’art.2.1. del Regolamento e quindi della presunzione che l’accordo verticale, nel nostro caso il contratto di concessione, sia compatibile con il diritto della concorrenza UE e dunque non rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 101.1.TFUE – Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, restrizioni fondamentali (hardcore restrictions) e restrizioni escluse (excluded restrictions), nel predisporre il nuovo Regolamento la Commissione ha dovuto prendere atto dei cambiamenti intervenuti sul mercato interno dell’Unione europea.

Per la Commissione ciò ha comportato la necessità di riconsiderare, la dinamica delle vendite online ed il crescente ruolo delle piattaforme di e-commerce (i mercati online o, in inglese, online platform o online marketplace), il che ha avuto l’effetto di valutare oggi ammissibili restrizioni imposte ai concessionari che il Regolamento 2010 qualificava invece come hardcore restrictions o excluded restrictions.

Prima di commentare nei successivi paragrafi le singole modifiche introdotte dal legislatore unionale può essere utile evidenziare fin da subito due delle maggiori “novità” in tema di vendite online introdotte dal nuovo Regolamento.

1.1. L’uso di internet da parte dei concessionari

Il principio guida è quello dettato dall’art. 4 (e) del nuovo Regolamento[3] secondo cui la pratica di impedire all’acquirente/concessionario o ai suoi clienti  l’uso efficace di internet è una restrizione fondamentale, fatto purtuttavia salvo il diritto del fornitore/concedente di imporre “altre restrizioni delle vendite online” o “restrizioni della pubblicità online che non hanno lo scopo di impedire l’uso di un intero canale pubblicitario on-line”.

Di per sé, nell’interpretare questo articolo probabilmente un potenziale problema potrebbe essere rappresentato da due espressioni utilizzate dal legislatore unionale, rispettivamente “uso efficace di internet” e, in relazione a quel che è ammesso, “altre restrizioni delle vendite online”.

Quando un qualche uso di internet può dirsi “inefficace”? E quali sono le “altre restrizioni delle vendite online” che il concedente può legittimamente imporre ai suoi concessionari?

L’art. 4 (e) del Regolamento, dedicato alle “restrizioni fondamentali” (hardcore restrictions) contiene già una prima precisazione, seppur di carattere generale, che per la verità si riduce quasi ad una mera tautologia, in merito a quando possa dirsi che una determinata pratica impedisce al concessionario “l’uso efficace di internet”, il che accade in primo luogo qualora tale pratica imponga al concessionario una qualche restrizione territoriale alle vendite dei beni e dei servizi del concedente che sostanzi una violazione di quanto disposto dai precedenti punti (b) (c) e (d) dello stesso articolo 4 (fatto  sempre salvo il caso delle restrizioni ammesse pure specificate in tale articolo del Regolamento).

Ben più rivelatore del mutato atteggiamento, tra gli altri, vi è un pregnante inciso contenuto nel Punto 202 degli Orientamenti secondo cui “le restrizioni delle vendite online in genere non hanno un simile oggetto (i.e. impedire l’uso efficace di internet), se l’acquirente resta libero di gestire il proprio negozio online e di fare pubblicità online”.

Sono infatti gli Orientamenti che offrono ulteriori indicazioni in merito all’ammissibilità o meno di una data restrizione alle vendite online, identificando le misure, dirette o indirette, clausole contrattuali o pratiche concordate, (ovverosia quelle pratiche decise e poste in essere dal concedente ed accettate dai concessionari, o magari ad essi indirettamente imposte dal concedente stesso) che costituiscono una hardcore restriction (Punto 204 Orientamenti) e quelle che, in linea di principio, non sono considerate tali e sono quindi ammissibili (Punto 208 Orientamenti).

Quanto poi tali indicazioni siano esaustive delle potenziali restrizioni rinvenibili nella prassi dei rapporti contrattuali tra concedenti e concessionari resta ancora da dimostrare.

1.2. La qualificazione delle imprese che offrono servizi di intermediazione online[4]

Le piattaforme online che si limitano a promuovere i beni o i servizi dell’impresa che provvede poi a venderli direttamente ai clienti finali, siano essi consumatori (B2B) o imprese (B2C), almeno da un punto di vista meramente giuridico, dovrebbero essere considerate come degli agenti (Punto 63 Orientamenti), e ove così fosse ad esse non si dovrebbero applicare l’art. 101.1. TFUE ed il Regolamento 2022 in quanto i contratti di agenzia sono esclusi dall’ambito di applicazione dell’art. 101.1. TFUE (e di conseguenza del Regolamento 2022) in quanto “in un contratto di agenzia l’agente non opera più come un operatore economico indipendente” (Punto 30 Orientamenti) e “le funzioni di vendita o di acquisto dell’agente fanno parte delle attività del preponente” (Punto 41 Orientamenti).

Fanno però eccezione i casi in cui le disposizioni del contratto sottoscritto da preponente e “agente”, seppur dai contraenti definito, per l’appunto, “contratto di agenzia”, non prevedano che l’agente assuma a proprio carico una serie di significativi oneri commerciali e finanziari, da ricondurre il rapporto di “agenzia” alla figura del “secondary agent”, nel qual caso tale rapporto rientra nell’ambito di applicazione dell’art.101.1 TFUE e quindi anche del Regolamento 2022.

A tale proposito gli Orientamenti chiariscono che la qualificazione giuridica (“contratto di agenzia”) del rapporto istaurato tra l’impresa venditrice e la piattaforma online che ne promuove la vendita su internet non è rilevante ai fini dell’applicazione del diritto della concorrenza UE e quindi dell’art.101.TFUE (Punto 63 Orientamenti), avendo in precedenza già precisato che “gli accordi stipulati dalle imprese operanti nell’economia delle piattaforme online in genere non soddisfano le condizioni per essere qualificati come accordi di agenzia commerciale che non rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 101.1.TFUE” (Punto 43 Orientamenti).

Al contrario, ai fini del Regolamento 2022, tali imprese sono considerate fornitori del servizio di intermediazione mentre gli acquirenti sono ovviamente le imprese che offrono e vendono beni o servizi per il tramite delle piattaforme online che forniscono loro tali servizi di intermediazione (Punto 67 Orientamenti).

Le motivazioni di tale scelta sono presto dette, e, per la verità, appaiono del tutto comprensibili a chi già operi nella distribuzione nel mercato interno dell’Unione europea: se le piattaforme online fossero considerate dei meri agenti non rientrerebbero nell’ambito di applicazione dell’art. 101.1. TFUE, e quindi del Regolamento 2022, mentre, per utilizzare il linguaggio degli Orientamenti, le imprese che operano nell’economia delle piattaforme online non solo sono operatori economici indipendenti ma nella realtà spesso hanno una dimensione e un potere contrattuale superiore a quello delle imprese che vendono beni o servizi per loro tramite, e ciò, come avvenuto durante la validità del Regolamento 2010, in passato aveva spesso consentito alle piattaforme online di imporre termini, condizioni e strategie di marketing alle imprese che si avvalevano della loro intermediazione per le vendite online (Punto 46 Orientamenti).

Quali sono le specifiche conseguenze di considerare le piattaforme online fornitori e non già degli agenti? In primo luogo ciò comporta, ovviamente, che le piattaforme online nei rapporti con le imprese che acquistano i servizi   di intermediazione debbano conformarsi alle disposizioni del Regolamento, hardcore ed excluded restrictions incluse, e ciò, tra l’altro, si traduce nel fatto che nel calcolare la quota di mercato il mercato rilevante sia quello per la fornitura di tali servizi (e non già quello dei prodotti oggetto dell’intermediazione fornita della piattaforma online) e nel considerare una restrizione esclusa, che non può quindi beneficiare dell’esenzione e della “zona di sicurezza” offerta dal Regolamento 2022, “l’obbligo, diretto o indiretto…”,  imposto da una piattaforma onlineche impedisca agli acquirenti di servizi di intermediazione online di offrire, vendere o rivendere beni o servizi agli utenti finali a condizioni più favorevoli attraverso servizi di intermediazione online concorrenti” (Art. 5 (d) Regolamento).

Sono queste i. c.d. “obblighi di parità” (wide parity clauses) ed è questo il caso, esemplificato dagli Orientamenti che si verifica “Se un fornitore di servizi di intermediazione online offre una migliore visibilità sul proprio sito web per i beni o servizi dell’acquirente o applica commissioni inferiori purché l’acquirente gli conceda la parità di condizioni in relazione a fornitori concorrenti di tali servizi, si configura un obbligo di parità nella vendita al dettaglio tra piattaforme” (Punto 253 Orientamenti)[5]. Sono invece esentabili e quindi in linea di principio ammessi gli obblighi di parità “ristretti” nella vendita al dettaglio (narrow parity clauses) ovverosia gli obblighi di parità nella vendita al dettaglio relativi ai canali di vendita diretta degli acquirenti di servizi di intermediazione online ((Punto 369 Orientamenti).

 

  1. Le ulteriori novità introdotte dal Regolamento 2022 in tema di vendite online

Preso atto della aumentata diffusione delle vendite online e del ruolo sempre più importante e diffuso delle piattaforme di e-commerce che offrono servizi di intermediazione sul mercato UE ,  forse il risultato più evidente della revisione operata dalla Commissione che ha poi portato all’emanazione del nuovo Regolamento (senza dimenticare il contributo offerto nel decennio 2010-2020 dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia) come detto è stato quello di garantire ai concedenti l’esenzione prevista dal nuovo Regolamento a pratiche ed accordi relativi alle vendite online che il Regolamento 2010 aveva invece vietato, a cominciare dall’ammissibilità del dual pricing e dall’abbandono del c.d. “criterio di equivalenza”.

2.1. Il dual pricing (“doppia tariffazione”)

Vigente il precedente Regolamento, l’imposizione ai concessionari autorizzati dell’obbligo di pagare un prezzo più elevato per i prodotti destinati ad essere rivenduti online era considerata una restrizione fondamentale delle vendite passive (e quindi vietata) in quanto, nel pensiero di allora della Commissione, tale restrizione era idonea a limitare le possibilità dei concessionari “di raggiungere clienti più numerosi e diversificati” (Punto 52 (d) Orientamenti 2010).

Nella realtà il divieto di imporre una doppia tariffazione aveva anche (o forse soprattutto) degli effetti negativi, in quanto favoriva il fenomeno del free-riding  da parte di quei concessionari che vendevano i prodotti del concedente principalmente online, sfruttando indirettamente gli investimenti dei concessionari che invece operavano da negozi fisici, con la conseguenza di disincentivare i concessionari “tradizionali” dall’effettuare investimenti nei loro negozi “non virtuali” (brick-and-mortar shops), che, se effettuati sarebbero andati, anche a vantaggio dei concessionari online che per parte loro non avevano la necessità di investire in un “negozio fisico” ma che potevano approfittare e trarre beneficio dall’esistenza di quelli dei concessionari tradizionali ove i potenziali clienti potevano visionare i prodotti, richiedere di persona informazioni ed ottenere, ove necessario, l’assistenza post vendita (salvo poi acquistare online i prodotti visionati presso i concessionari tradizionali).

Nell’adottare il Regolamento 2022 la Commissione UE ha completamente ribaltato l’impostazione del vecchio Regolamento e la doppia tariffazione oggi “… può beneficiare dell’esenzione di cui all’articolo 2, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2022/720, in quanto può incentivare o premiare un livello adeguato di investimenti in canali di vendita online od offline …”, se ed in quanto la differenza dei prezzi praticati dal fornitore/concedente all’acquirente/concessionario per prodotti o servizi rispettivamente destinati ad essere venduti offline e online sia “… connessa in misura ragionevole alle differenze negli investimenti e nei costi sostenuti dall’acquirente per la vendita in ciascun canale” (Punto 209 Orientamenti).

La doppia tariffazione rientra dunque nell’ambito dell’esenzione prevista dal Regolamento 2022, e si presume quindi legittima, a condizione che essa non sia strumentalmente utilizzata dal concedente al fine di impedire al concessionario di utilizzare efficacemente internet per vendere i prodotti o servizi oggetto del contratto in territori o a clienti particolari, come potrebbe per esempio accadere, ove il prezzo praticato dal concedente al concessionario sia tale da non rendere convenienti le vendite online o nell’eventualità in cui  la doppia tariffazione sia utilizzata per limitare la quantità dei prodotti venduti online dal concessionario (Punto 209 Orientamenti).

L’introduzione del principio del dual pricing rappresenta certo un miglioramento per i concedenti e in linea di principio appare più coerente con la realtà che oggi caratterizza i due diversi canali distributivi.

Nondimeno va detto che, nella pratica, per il concedente potrebbe essere non agevole accertare quanti e quanti prodotti siano stati venduti in ciascuno dei due canali di vendita, senza limitarsi a dover accettare, sic et simpliciter, i rendiconti fornitigli dal concessionario.

Se la tipologia dei prodotti distribuiti lo consentono si potrebbe ipotizzare un diverso confezionamento per i prodotti in funzione del canale di vendita a cui sono destinati, il che però probabilmente comporterebbe dei costi aggiuntivi di produzione per il concedente e complicherebbe la logistica di fornitura, oppure si potrebbe prevedere nel contratto di affidare a un terzo indipendente la certificazione del numero di prodotti venduti online.

2.2. L’abbandono del “criterio di equivalenza”.

Gli Orientamenti 2010 consideravano come restrizione fondamentale l’imposizione al concessionario di criteri per le vendite online che non fossero nel complesso equivalenti a quelli imposti per un punto vendita “non virtuale” (il c.d. “criterio di equivalenza”)[6].

Anche in questo caso, riconoscendo le differenti caratteristiche dei canali di vendita online e di quelli offline, all’atto della emanazione del Regolamento 2022 la scelta della Commissione UE è stata quella di abbandonare il criterio di equivalenza ed infatti gli Orientamenti prevedono che il fornitore/concedente “… che gestisce un sistema di distribuzione selettiva[7] può imporre ai propri distributori autorizzati dei criteri per le vendite online diversi da quelli imposti per le vendite nei negozi non virtuali, …”.

Non sorprende poi che tale possibilità sia comunque condizionata a quello che nel Regolamento 2022 è un po’ il mantra della Commissione per le vendite online degli /acquirenti concessionari “… purché i requisiti imposti per le vendite online non abbiano indirettamente per oggetto di impedire all’acquirente di utilizzare efficacemente internet al fine di vendere i beni o servizi oggetto del contratto in territori o a clienti particolari” (Punto 235 Orientamenti).

Sempreché tale condizione sa rispettata i criteri per le vendite online possono comunque essere anche più rigorosi di quelli richiesti per le vendite offline.

Va poi aggiunto che i requisiti relativi alle modalità di vendita online dei beni o servizi oggetto del contratto per cui gli Orientamenti riconoscono il beneficio dell’esenzione e quindi la “zona di sicurezza” garantita dal Regolamento 2022 possono essere applicati a prescindere dal tipo di sistema di distribuzione (esclusivo, selettivo libero).

2.3. Le restrizioni ammesse che il concedente può imporre ai concessionari in tema di vendite online

Le conseguenze dell’abbandono del “criterio di equivalenza” sono rilevanti in quanto estendono le restrizioni ammesse, quelle che il concedente può imporre ai concessionari e che, beneficiando possono beneficiare dell’esenzione prevista dal Regolamento 2022 e si presumono quindi lecite (naturalmente sempre a condizione che indirettamente non abbiano l’oggetto di impedire al concessionario l’uso efficace di internet).

2.3.1. Requisiti del sito web del concessionario

Il concedente può imporre al concessionario di strutturare il proprio sito web nel rispetto e possono riguardare la qualità e l’immagine del sito online dell’acquirente/concessionario e la sua qualità, il numero minimo delle diverse tipologie di prodotti esposti nel sito o le modalità di esposizione sul sito dei marchi del fornitore/concedente (Punto 208 (a) e (b) Orientamenti), ma anche l’obbligo dell’acquirente/concessionario di assicurare un help-desk per i potenziali clienti, di tenere a proprio carico i costi conseguenti alla restituzione dei prodotti da parte dei clienti o di assicurare l’uso di sistemi di pagamento sicuri (Punto 235 Orientamenti).

2.3.2. Il rapporto tra vendite offline e vendite online 

Fermo restando il diritto del concedente di imporre al concessionario la gestione di uno o più negozi non virtuali, quali sono i criteri che il concedente può utilizzare per cercare di mantenere un qualche equilibrio tra vendite offline e vendite online realizzate dal concessionario? Anche in questo caso gli Orientamenti prevedono una ulteriore “apertura” rispetto a quanto previsto dal Regolamento 2010 in quanto consentono al concedente di imporre ai propri concessionari di vendere offline una quantità minima assoluta di prodotti, in termine di valore o di quantità, ma non in proporzione alle vendite complessive da questi effettuate e quindi senza che ciò comporti una limitazione delle vendite online che il concessionario può effettuare.

Tale obiettivo può essere identico per tutti i concessionari o stabilito per ognuno di essi, il che sembra ragionevole anche tenuto conto del fatto che l’obiettivo deve essere determinato sulla base di criteri oggettivi, quali ad esempio la ubicazione geografica del concessionario (Punto 208 (e) Orientamenti).

2.3.3. Le vendite tramite mercati online

La novità più rilevante, ma anche quella che forse più di altre ci si poteva aspettare dopo la decisione della Corte di Giustizia nel caso Coty[8], è anch’essa prevista dagli Orientamenti che tra i requisiti relativi alle vendite online che in linea di principio possono beneficiare dell’esenzione di cui all’art. 2.1. del Regolamento 2022 prevede proprio “il divieto diretto o indiretto di utilizzare mercati online” (Punto 208 (e) Orientamenti), divieto che, di per sé stesso, non limita le vendite dei concessionari in un particolare territorio o a un determinato gruppo di clienti che comunque possono disporre di altri canali di vendita online, e il riferimento più immediato è per esempio al sito web dei singoli concessionari (Punto 336 Orientamenti).

Un simile divieto, sia esso un divieto totale di utilizzo dei mercati online a piuttosto che di singoli  mercati online che non soddisfano determinati requisiti qualitativi può determinare vantaggi in termini di efficienza in quanto consente ai fornitori/concedenti di proteggere l’immagine e il posizionamento del loro marchio, di scoraggiare la vendita di prodotti contraffatti e di assicurare sufficienti servizi pre-vendita e post-vendita o garantire che l’acquirente/concessionario mantenga un rapporto diretto con i clienti (Punto 334 Orientamenti).

Ciò non significa che non debbano essere valutati i possibili effetti anticoncorrenziali di un divieto, o di una limitazione, imposta all’acquirente/concessionario, all’uso dei mercati online. Tale valutazione deve essere fatta alla luce delle circostanze del caso concreto quali ad esempio il posizionamento del fornitore/concedente e il grado di concorrenza esistente sul mercato, in funzione del numero di concorrenti che vi operano (Punto 341 Orientamenti), piuttosto che delle motivazioni addotte dal fornitore/concedente per giustificare le restrizioni imposte all’acquirente/concessionario, e tra gli esempi forniti gli Orientamenti citano il caso in cui il fornitore/concedente  utilizzi il mercato online vietato all’acquirente/concessionario con motivazioni relative alla necessità di mantenere la qualità del prodotto, o nell’eventualità in cui il divieto di vendere tramite i mercati online sia imposto soltanto ad alcuni distributori ma non ad altri (Punto 342 (a) e (b) Orientamenti).

Fin qui si è detto delle restrizioni imposte all’acquirente/concessionario. Per completezza può essere opportuno interrogarsi sulle modalità di utilizzazione da parte del fornitore/concedente dei mercati online. Gli Orientamenti non affrontano la questione esplicitamente, facendo piuttosto riferimento al fatto che il fornitore/concedente “può accettare restrizioni delle proprie vendite online e offline” (Punto 222 Orientamenti), il che implicitamente conferma, se mai vi fosse stato il dubbio, che il fornitore/concedente può effettuare vendite sui mercati online, nonostante abbia vietato ai propri acquirenti/concessionari di fare altrettanto (fatta eccezione per il caso di cui al punto 242 degli Orientamenti di cui si è accennato appena sopra, ove tale divieto sia stato giustificato con  asseriti motivi di tutela della qualità dei prodotti.

2.3.4. Pubblicità online e sistemi di comparazione dei prezzi

Le eventuali limitazioni imposte agli acquirenti/concessionari dal fornitore/concedente in relazione alla pubblicità online, all’uso dei motori di ricerca e dei sistemi di comparazione dei prezzi (questi ultimi equiparati dagli Orientamenti ai canali pubblicitari) possono usufruire dell’esenzione di cui all’art. 2.1. del Regolamento, ma soltanto a condizione che non abbiano come scopo quello di impedire, direttamente o indirettamente, l’uso di intero canale pubblicitario o impedire agli acquirenti/concessionari di utilizzare tutti i motori di ricerca (o meglio la pubblicità offerta dai motori di ricerca) o tutti i sistemi di comparazione dei prezzi; ciò in quanto tali divieti  “hanno per oggetto di impedire all’acquirente di utilizzare efficacemente internet per vendere i beni o servizi oggetto del contratto in territori o a clienti particolari, … [e] … limitano la capacità dell’acquirente di rivolgersi a clienti al di fuori della sua zona di riferimento fisica, informarli in merito alle sue offerte e attirarli nel suo negozio online o in altri canali di vendita”) e sono quindi assimilabili alla hardcore restriction di cui all’art. 4 (e) del Regolamento, quella per l’appunto relativa al divieto imposto al fornitore/concedente di precludere agli acquirenti/concessionari l’“uso efficace di internet”. (Punto 206 (g) Orientamenti)

Per contro le limitazioni espressamente ammesse dagli Orientamenti, oltre al divieto diretto o indiretto di utilizzare mercati online (Punto 208 (c)) e la possibilità di imporre a carico degli acquirenti / concessionari un obbligo di vendere offline una quantità minima assoluta (in termini di volume o di valore) dei beni o servizi oggetto del contratto (Punto 208 (e)) di cui si è già detto in precedenza, sono:

(i) il divieto di utilizzare particolari servizi di confronto dei prezzi o motori di ricerca in quanto in genere ciò di per sé non configura una restrizione fondamentale, poiché l’acquirente può avvalersi di altri servizi pubblicitari online per far conoscere le sue attività di vendita online, con l’avvertenza però che il divieto di utilizzare i servizi pubblicitari più diffusi in un particolare canale pubblicitario online potrebbe ancora  configurare una restrizione fondamentale, se i servizi rimanenti in tale canale pubblicitario online di fatto non sono in grado di attirare clienti nel negozio online dell’acquirente (Punto 206 (g) Orientamenti);

(ii) l’imposizione di determinati standard qualitativi o di contenuti e informazioni prescritte dal fornitore/concedente e, per converso, l’obbligo per l’acquirente/concessionario di non avvalersi dei servizi di particolari fornitori di pubblicità online che non rispettano determinati standard qualitativi (Punto 208 (a) e (b) Orientamenti);

(iii) l’obbligo per l’acquirente / concessionari di gestire uno o più negozi o showroom non virtuali (Punto 208 (d))

2.3.5.  Vendite Attive e vendite passive online

Anche se la differenza dovrebbe essere intuitiva, considerate le rispettive definizioni offerte dall’art.1.1. del Regolamento [9], gli Orientamenti 2022 ribadiscono la distinzione tra vendite attive e vendite passive sui mercati online. In estrema sintesi se i concessionari effettuano vendite in un territorio o a clienti attribuiti in esclusiva ad altri concessionari le vendite a clienti che non sono stati contattati attivamente dal venditore sono vendite passive (Punto 212 Orientamenti).

Per contro, come già previsto dalla relativa definizione, l’offerta in un negozio online di un’opzione linguistica diversa da quelle comunemente utilizzate nel territorio in cui è stabilito il venditore in genere indica che le attività del venditore sono dirette al territorio nel quale tale lingua è parlata abitualmente e configura pertanto una vendita attiva. I concessionari possono tuttavia utilizzare sui loro negozi online anche la lingua inglese, in quanto, a dire della Commissione, “l’inglese è ampiamente compreso e utilizzato in tutta l’Unione” (Punto 213 Orientamenti).

Al contrario se il concessionario svolge azioni pubblicitarie di portata generale su siti web in lingue non abitualmente utilizzate nel territorio in cui è stabilito il concessionario le vendite conseguenti configura una forma di vendita attiva in tali altri territori, così come vendite attive sono pure quelle realizzate dal concessionario su siti web con domini corrispondenti a territori diversi da quelli in cui operano.

© Marco Bianchi Riproduzione riservata – Marzo 2023

[1]   Poiché entrambi i Regolamenti, il vecchio e il nuovo, riguardano gli accordi verticali in genere, e non soltanto i contratti di concessione, il legislatore unionale vi ha utilizzato i termini “fornitore” ed “acquirente” per identificare i due contraenti di tali accordi. Considerato che questo contributo è specificatamente dedicato ai contratti di concessione, per immediatezza di comprensione, sempreché il testo non richieda altrimenti, tali termini sono stati sostituiti con “fornitore/concedente” ed “acquirente/concessionario o, a volte, più semplicemente con “concedente” e “concessionario”.

[2] Punto 56 Orientamenti 2010.

[3] Si veda anche il Considerando 15 del Regolamento 2022.

[4] Con il termine “servizi di intermediazione online” “si intendono i servizi della società dell’informazione (ai sensi dell’art.1.1.b), della Direttiva (UE) 2015/1535 qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi) che consentono alle imprese di offrire beni o servizi: (i) ad altre imprese, al fine di agevolare l’avvio di transazioni dirette tra tali imprese;  o (ii) ai consumatori finali, al fine di agevolare l’avvio di transazioni dirette tra dette imprese e i consumatori finali; indipendentemente dal fatto che tali operazioni siano concluse e dal luogo in cui sono concluse; (art.1.1 (e) Regolamento 2022).

 

 

 

[5] Sono invece esentabili e quindi in linea di principio ammessi gli obblighi di parità “ristretti” nella vendita al dettaglio (narrow parity clauses) ovverosia “gli obblighi di parità nella vendita al dettaglio relativi ai canali di vendita diretta degli acquirenti di servizi di intermediazione online (Punto 369 Orientamenti)

[6] Punto 56 Orientamenti 2010.

[7] Il Punto 235 degli Orientamenti fa riferimento solo alla distribuzione selettiva,  considerata la riconosciuta diversità delle caratteristiche delle vendite online e offline, appare ragionevole che il principio si applichi anche alle altre tipologie di sistemi distributivi, come d’altra parte implicitamente confermato dal Punto 208 degli Orientamenti, ove sono indicati alcuni esempi di requisiti ammessi in relazione alle vendite online, chiarisce che l’imposizione di standard qualitativi per le vendite online in genere può beneficiare dell’esenzione prevista dal Regolamento “… a prescindere dal tipo di sistema di distribuzione …”.

[8] Sul caso Coty Si vedano i miei precedenti post (1. Distribuzione selettiva e e-commerce: l’” opinion” dell’avvocato generale wahl nel caso coty 2. La sentenza della Corte di Giustizia nel caso Coty Germany GmbH contro Parfümerie Akzente GmbH: fashion brands v. Piattaforme e-commerce 1 a 0 (per i brand non fashion non si sa ancora dovremo aspettare il prossimo round)) 3. E-commerce, distribuzione selettiva e Reg.(UE) 330/2010: che cosa sta succedendo dopo la sentenza della Corte di Giustizia nel caso Coty Germany GmbH contro Parfümerie Akzente GmbH?

[9] Art.1.1 (l): “«vendite attive» si intende il fatto di contattare in maniera attiva e mirata dei clienti mediante visite, lettere, e-mail, telefonate o altri mezzi di comunicazione diretta o attraverso azioni di pubblicità e promozione mirate, offline o online, ad esempio attraverso …… l’offerta su un sito internet di opzioni linguistiche comunemente utilizzate in determinati territori, quando tali lingue siano diverse da quelle comunemente utilizzate nel territorio in cui è stabilito l’acquirente”; Art.1.1. (m): “vendite «passive» si intendono vendite effettuate in risposta a richieste spontanee di singoli clienti, comprese la consegna di beni o la prestazione di servizi al cliente, senza che la vendita sia stata avviata sollecitando attivamente particolari clienti, gruppi di clienti o territori, incluse le vendite risultanti dalla partecipazione ad appalti pubblici o dalla risposta a bandi di gara privati”.

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