“CARO AVVOCATO MI PUO’ PREPARARE UNO STANDARD DI CONTRATTO DI CONCESSIONE PER I NOSTRI DISTRIBUTORI STRANIERI?” “CARO CLIENTE CERTO CHE POSSO, MA PRIMA PUOI DIRMI (I) IN QUALE PARTE DEL MONDO INTENDI ESPORTARE I TUOI PRODOTTI E (II) CHE TIPO DI SISTEMA DISTRIBUTIVO VUOI UTILIZZARE?” OVVERO “CONTRATTI DI CONCESSIONE E SISTEMI DISTRIBUTIVI”.
Sebbene l’ordinamento giuridico italiano non preveda una specifica disciplina del contratto di concessione, può tuttavia essere considerato, sulla scorta della prassi commerciale, un contratto “socialmente tipico”. Certamente molto spesso sono i clienti stessi, soprattutto nel caso di piccole-medie imprese, che non si pongono il problema della atipicità del contratto di concessione e dunque l’approccio è quello contenuto nel titolo di questo contributo “Caro Avvocato mi può preparare uno standard di contratto di concessione per i nostri distributori stranieri?” (e per fortuna, almeno nella mia esperienza, a differenza di quel che accadeva molti anni fa, sono sempre più rari i casi in cui il cliente si immagina di potersi limitare a tradurre il testo del contratto di concessione già utilizzato sul mercato italiano).
Sovente in questi casi, sovente all’avvocato tocca prodursi in un esercizio di maieutica, e fare le domande giuste al cliente, il che a volte ha come involontaria conseguenza quella di far nascere qualche dubbio al manager commerciale di turno sul fatto che la redazione di uno “standard di contratto internazionale di concessione” sia un esercizio così banale[1].
La prima questione da chiarire è il “dove” ovverosia quali siano i mercati stranieri ove l’impresa italiana intende avviare la distribuzione dei propri prodotti attraverso una rete di concessionari autorizzati. Nell’ambito dell’Unione Europea nel redigere il contratto occorrerà infatti aver ben presenti le limitazioni imposte dal diritto della concorrenza ed in particolare quelle previste dal Regolamento (UE) 330/2010 in tema di accordi verticali (hardcore restrictions e excluded restrictions) e ricordare che in alcuni Stati UE, in caso di risoluzione anticipata del contratto da parte del concedente, il concessionario ha diritto ad una indennità di fine rapporto, perché così previsto dalla normativa locale (Belgio) o dalla giurisprudenza, in analogia a quanto previsto dalle norme in tema di contratto di agenzia e subordinatamente all’accertamento di determinate circostanze di fatto verificatesi durante l’esecuzione del rapporto contrattuale tra concedente e concessionario (per esempio, ma non solo, Germania ed Austria).
Al di fuori dell’Unione Europea la situazione è ancora più varia. Se nelle nazioni che si rifanno alla common law (fatta per certi versi eccezione per molti Stati U.S.A., ove i rapporti di distribuzione, se non per le norme in tema di concorrenza, non rientrano nelle competenze federali, ma in quelle dei singoli Stati) la disciplina del rapporto contrattuale tra concedente e concessionario è rimessa all’autonomia negoziale dei contraenti, in molte altre nazioni la distinzione, per noi tradizionale, tra agenti e concessionari viene meno, a tutto vantaggio del soggetto locale, agente, concessionario o importatore che sia (e qui il riferimento più immediato è ad alcuni Stati del Golfo Persico).
La conclusione è ovvia più che predisporre un unico “standard di contratto di concessione per i nostri distributori stranieri” come si illudeva di poter fare il Responsabile Export dell’impresa cliente, sarà necessario predisporre quantomeno due versioni di tale contratto, rispettivamente per ambito UE ed Extra-UE, senza peraltro dimenticare di verificare se nelle nazioni ove l’impresa cliente vuole nominare dei distributori esistano norme imperative e di applicazione necessaria piuttosto che precedenti giurisprudenziali di cui è necessario tener conto, rimodulando o adattando alle peculiarità di quel dato mercato estero gli standard contrattuali che andremo a predisporre.
Possiamo quindi iniziare a redigere lo standard ,o gli standard, di contratti di concessione richiestici dal cliente. No, o meglio non ancora. A parte la distinzione più ovvia tra mandato esclusivo o non-esclusivo, di cui probabilmente anche il Responsabile Export dell’impresa cliente è ben consapevole, è necessario definire quale tipo di sistema distributivo si attagli alle caratteristiche e alle peculiarità dell’impresa cliente.
Possiamo infatti distinguere le seguenti tipologie di sistemi distributivi: Distribuzione Esclusiva, Distribuzione Selettiva e sistemi distributivi multi-livello.
ESTRATTO DA “CONTRATTI INTERNAZIONALE DI COMPRAVENDITA E DI SOMMINISTRAZIONE – SALES AGREEMENTS AND-LONG-TERM SUPPLY AGREEMENTS GIUFFRE’ FRANCIS LEFEBVRE GIUGNO 2019
(a) La distribuzione esclusiva. In un sistema di distribuzione esclusiva il concedente si impegna a vendere i propri prodotti ad un unico distributore affinché li rivenda in un particolare territorio (o ad una determinata categoria di clienti).
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Il disfavore verso le “esclusive assolute” rappresenta una costante nel diritto della concorrenza dell’Unione Europea, a partire dal caso Grundig (3) per arrivare a quanto oggi previsto dal Regolamento (UE) 330/2010 che consente al concedente di vietare al concessionario esclusivo le sole vendite attive in altri territori (o ad altre categorie di clienti) assegnati su base esclusiva ad altri concessionari o al concedente, ma non già le c.d. vendite passive, e cioè quelle effettuate ad acquirenti stabiliti al di fuori dell’area assegnata al concessionario, ma non da questi sollecitate (4).
(b) La distribuzione selettiva. Con tale termine in ambito UE, si definisce un sistema di distribuzione nel quale il fornitore / concedente si impegna a vendere i beni o servizi oggetto del contratto, solo a distributori selezionati sulla base di criteri specificati a priori e nel quale questi distributori si impegnano a non vendere tali beni o servizi a rivenditori non autorizzati nei territori coperti dal sistema di distribuzione selettiva del concedente.
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In linea di principio la distribuzione selettiva basata esclusivamente su criteri qualitativi non provoca effetti anticoncorrenziali, sempreché siano rispettate determinate condizioni, identificate ormai quaranta anni fa dalla Corte di giustizia nella sentenza Metro del 1977 (5), e costantemente ribaditi dalla giurisprudenza comunitaria, da ultimo nella sentenza Coty del dicembre 2017 (6).
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c) I sistemi distributivi multi-livello. Qualora la tipologia dei prodotti commercializzati richieda una rete distributiva particolarmente capillare, un’opzione a disposizione del concedente, che peraltro non è certo confinata alla sola Unione Europea, è quella di organizzare una rete commerciale multi-livello, con una serie di concessionari di primo livello, nominati direttamente dal concedente che, a loro volta, nella zona ad essi assegnata, nominano dei “sub-distributori” nella zona.
Per converso, nell’eventualità che il mercato non appaia sufficientemente sviluppato da giustificare per il concedente i costi e gli investimenti, finanziari ed in termini di risorse umane, necessari per assicurare una ordinata gestione della rete distributiva locale, ed è questo il caso di molti mercati extra-europei, il concedente potrebbe decidere di nominare un unico concessionario/importatore a cui poi affidare il compito di creare e gestire una rete di concessionari di secondo livello.
In entrambi i casi il concedente, pur non avendo un diretto rapporto contrattuale con i sub-distributori, non può disinteressarsene, considerato che essi sono comunque deputati a costruire la presenza dei prodotti e dei marchi del concedente sul mercato locale. Nello strutturare questo tipo di sistemi distributivi un possibile problema per il concedente è dunque sovente rappresentato dalla necessità di assicurare la congruenza tra le disposizioni del contratto stipulato con i concessionari di primo livello e quelle dei contratti che tali concessionari stipulano con i loro “sub-concessionari” (8).
Marco Bianchi © riproduzione riservata – Ottobre 2019
[1] In effetti, pur avendo lavorato per molti anni come giurista d’impresa in una grande multinazionale, non infrequentemente ho avuto l’impressione che i clienti entrassero nel mio ufficio per domandarmi di predisporre questo o quel contratto, con l’inconscia convinzione che i cassetti della mia scrivania fossero pieni di facsimili dei più svariati tipi contrattuali semplicemente da completare con le informazioni del caso.
(8) A tal proposito si rinvia al successivo paragrafo IV.5.2.