RECENSIONE: “G. DE NOVA “IL CONTRATTO ALIENO”, 2° ED. GIAPPICHELLI EDITORE (2010)

– Sommario I. Contratto: per una voce. – II. I contratti atipici e i contratti disciplinati da leggi speciali: verso una riforma? – III. «The Law Which Governs this Agreement is the Law of the Republic of Italy»: il contratto alieno . – IV. I contratti di oggi e la necessità di un elenco condiviso di divieti e di clausole vietate. – V. Parent company guarantee. – VI. Accordi delle parti e decisione. – VII. Merger clause e contratto alieno. – VIII. I contratti derivati come contratti alieni.

Originale la definizione di “contratto alieno” proposta da Giorgio Dr Nova e che dà il titolo a questo libriccino, piccolo nel numero di pagine (poco più di 100), ma “pesante” nei contenuti e denso di considerazioni stimolanti, anche se magari non sempre condivisibili, per il giurista che, nel quotidiano, si occupi di contratti e, in particolar modo, di contratti internazionali. Il “contratto alieno” (da alius, altro straniero, ma anche da alien, extraterrestre …) in merito al quale De Nova si interroga, e indirettamente ci interroga, è il contratto pensato e scritto sulla base di un modello diverso dal diritto Italiano, e cioè un modello di common law, ma per cui i contraenti abbiano indicato come legge applicabile il diritto Italiano. Non è che De Nova appaia particolarmente entusiasta del dilagare delle tecniche di redazione anglo-sassoni, e di quella che gli appare, troppo spesso, una acritica riproposizione di modelli pensati non già sulla base del diritto Italiano quanto piuttosto sulla base del diritto anglo-sassone. Certamente possiamo condividere le perplessità di De Nova in merito alla leggerezza, o proprio alla casuale indifferenza, con cui troppo spesso i giuristi Italiani “incollano” alla fine dei loro contratti, seppur disciplinati dal diritto Italiano, le c.d. boiler-plate clauses anglo-sassoni, senza neppure fermarsi a riflettere se e quanto tali clausole siano compatibili con le norme imperative del Codice Civile, e tra le più comuni citiamo “Entire agreement” v. artt.  1362 – 1371 (“interpretazione del contratto”) e “Severability” v. art. 1419 (“nullità parziale”)). Allo stesso modo si deve concordare sulla necessità che i giuristi siano sempre ben consapevoli che la loro eventuale aspirazione a predisporre un contratto internazionale autosufficiente (“self-regulatory agreement”) può e deve soffrire le limitazioni proprie delle norme imperative dettate dal diritto applicabile al contratto. Che cosa mi ha lasciato perplesso nel leggere “Il Contratto Alieno”? Per esempio l’affermazione, ripetuta più volte da De Nova e che ritroviamo spesso negli scritti che la dottrina Italiana dedica ai contratti internazionali, secondo cui il recepimento nella prassi contrattuale domestica di modelli contrattuali atipici di derivazione anglosassone sia il frutto della diffusione di tali modelli “imposta” dalle multinazionali statunitensi. Non vi è alcun dubbio che le società U.S.A. troppo spesso nel loro internazionalizzarsi adottino un approccio provincial-imperialistico, ma le ragioni della circolazione dei modelli di common law sono anche altre.  Penso per esempio alla maggior globalizzazione degli studi anglo-sassoni (e più che a quelli americani penso agli studi Inglesi), il che ha certamente favorito la circolazione spontanea delle tecniche di redazione anglo-sassoni e delle tipologie atipiche che siamo ormai abituati ad utilizzare quotidianamente (franchising, engineering, outsourcing, factoring), e che non a caso sono state create, hanno prosperato e i cui contenuti tipici sono stati “codificati” proprio nei sistemi di common law. Occorre poi considerare che il contratto di common law è nella sostanza un contratto ad autoregolamentazione la cui interpretazione, almeno in linea di principio, non è rivolta all’accertamento della comune intenzione delle parti, come nel diritto Italiano, quanto al significato letterale del testo contrattuale, come lo interrerebbe un reasonable man in the ordinary course of business. Ciò fa sì che le drafting techniques anglo-sassoni meglio si attaglino alla progressiva proceduralizzazione invalsa nella redazione dei contratti internazionali, destinati per l’appunto a identificare e disciplinare tutte le attività che i contraenti devono svolgere per raggiungere i risultati imprenditoriali e, in ultima analisi, il profitto che ognuno di essi si attende dal rapporto contrattuale, anche a costo di ripetere in un contratto, internazionale si, ma disciplinato dal diritto Italiano, quello che è già previsto dal nostro Codice Civile, non fosse altro che per rassicurare la controparte aliena, che spesso ha una conoscenza superficiale  del diritto Italiano.

  1. De Nova “Il contratto alieno”, 2° Ed. Giappichelli Editore (2010): CONSIGLIATO

© riproduzione riservata Aprile 2012

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