LA STRUTTURA DI UN CONTRATTO DI JOINT VENTURE SOCIETARIA

  1. Atipicità della fattispecie “joint venture” – caratteristiche – equity joint venture e contractual joint venture

Con il termine joint venture in realtà si fa riferimento a un qualche fenomeno di cooperazione imprenditoriale piuttosto che ad un’unica ben identificata fattispecie giuridica.

L’elemento unificante del fenomeno joint venture è rappresentato dal fatto che, quali che siano gli schemi di attuazione e di gestione di volta in volta adottati dalle parti, le joint ventures sempre rappresentano e prefigurano una cooperazione tra due o più imprese che mettono in comune le reciproche capacità, risorse e conoscenze allo scopo di ottenere un risultato condiviso da tutti i partners, in quanto esso è tale da offrire ad ognuno di essi un qualche tipo di beneficio. Tali caratteristiche possono ritrovarsi in svariate forme di collaborazione e si prestano ad essere sostanziate da una pluralità di schemi societari (equity joint venture, joint venture societarie ove per l’appunto il veicolo della collaborazione è rappresentato da una società costituita “ad hoc” di cui i venturers sono azionisti) e contrattuali (contractual joint venture, dove la collaborazione si sostanzia in un contratto destinato a coordinare le attività), la cui scelta è di volta in volta influenzata e suggerita dalle specificità del “ business” cui attiene la prospettata collaborazione.

Da un punto di vista meramente giuridico le “joint ventures” costituiscono una fattispecie del tutto atipica, ove i partners sono di volta in volta liberi di scegliere lo specifico strumento societario, quale messo a disposizione dall’ ordinamento della Nazione ove essi intendono operare, attraverso cui sostanziare la loro collaborazione, oltreché di definire le reciproche obbligazioni ed i reciproci diritti, sia in merito al controllo della joint venture e delle sue attività e sia alla ripartizione dei profitti e dei rischi derivanti dalla ipotizzata collaborazione.

A tale sostanziale “atipicità” del fenomeno “joint venture” non si oppone il fatto che in certe nazioni, ed in particolar modo nei Paesi in Via di Sviluppo, siano state introdotte delle specifiche normative in tema di joint venture, intese in tale sede come una collaborazione, il più delle volte su base societaria, tra un socio locale ed un investitore straniero, tanto che in tali Nazioni spesso il termine joint venture viene utilizzato alla stregua di un mero sinonimo di “società a capitale misto, locale e straniero”.

Tale eccezione è peraltro più apparente che reale in quanto le finalità di tali leggi normalmente non è tanto quello di dettare una disciplina “tipica” della fattispecie joint venture company, così da distinguerla e trasformarla in una forma societaria del tutto autonoma rispetto ad altre forme societarie di più comune utilizzo, quanto piuttosto quello di regolamentare specifici aspetti della collaborazione tra i due partners, usualmente al fine precipuo di proteggere gli interessi del socio locale, nonché per assicurare un controllo sugli investimenti stranieri e sulle joint venture tra partners stranieri e soci locali, subordinandone l’operatività alla preventiva autorizzazione delle Autorità governative locali.

2. La struttura di un contratto di equity joint venture.

Fermo restando la necessità di verificare sempre la compatibilità delle soluzioni che stiamo prospettando nel testo di un contratto di equity joint venture con quanto previsto dalla normativa dove la joint venture company (“JVCo”) dovrà essere costituita (normativa societaria, normativa in tema di foreign investments, normativa in tema di contribuzioni in conto capitale, normativa in tema di trasferimento di tecnologia ecc.), è comunque possibile identificare i contenuti tipici con cui bisogna fare i conti che il redattore di un equity joint venture, quale che sia la Nazione dove la joint company verrà costituita. Per comodità è possibile ricondurre tali contenuti a cinque distinti gruppi di pattuizioni contrattuali ricorrenti, a cui, per chiarezza espositiva, è pure possibile dedicare singole sezioni del contratto.

Sezione I – In questa Sezione vengono individuate (a) le motivazioni che hanno spinto i venturers a costituire la joint venture (ipersemplificando, quelle che in Inglese definiremmo le “basic assumptions” che hanno spinto le parti a sottoscrivere il contratto, e che in diritto Italiano potremmo invece ricondurre all’istituto della presupposizione) (b) i risultati che le parti si propongono di raggiungere e (c) la mission e gli specifici obiettivi a tal fine assegnati alla nuova JVCo.

Sezione II – Questo secondo gruppo di clausole è dedicato a descrivere (a) quanto necessario alla costituzione della JVCo (Tipologia societaria della JVCo, sede e denominazione, capitale sociale e quote di partecipazione dei singoli venturers, tempistiche e modalità di sottoscrizione del capitale sociale- cash / non cash contributions e per queste ultime due diligence e representations and warranties offerte, (b) le eventuali condizioni al verificarsi delle quali è subordinato il Closing e l’avvio delle attività delle JVCo, e (c) i rapporti che la JVCo instaurerà con i singoli venturers, peraltro regolati in dettaglio da singoli contratti (operational agreements / ancillary agreements di cui il testo concordato tra i venturers viene allegato al joint venture agreement) che la JVCo sottoscriverà subordinatamente al verificarsi del Closing.

Sezione III – Le clausole di questo gruppo sono particolarmente importanti. E’ qui che i venturers mettono nero su bianco i criteri tra loro concordati per la gestione della JVCo, quelli che in Italia chiamiamo i patti parasociali. In questa Sezione solitamente troviamo clausole dedicate a (a) modalità e criteri per la convocazione, i quorum e il funzionamento degli organi sociali della JVCo, (b) nomina e sostituzione dei membri del Consiglio di Amministrazione segnalati dai venturers (sulla base delle rispettive partecipazioni nella JVCo, ma non necessariamente in misura esattamente proporzionale) (c) criteri per la nomina dell’Amministratore Delegato e dei principali managers della JVCo (solitamente indicati dall’uno e dall’altro venturers) ed indicazione dei poteri e delle deleghe loro attribuite (d) clausole poste a tutela del venturer di minoranza e identificazione delle decisioni che possono essere assunte dalla JVCo soltanto con il voto favorevole di entrambi i venturers (e) gestione finanziaria e amministrativa, ovvero nomina degli Auditors, Accounting Criteria utilizzari dalla JVCo (attenzione non è detto che i criteri contabili locali siano quelli che utilizziamo in Italia …), politica dei dividendi, debt-equity ratio (indebitamento finanziario netto v. patrimonio netto) che la JVCo dovrà rispettare

Sezione IV – A differenza di quel che accade nelle normali società di capitali, il vincolo societario rappresenta il mezzo, ma non lo scopo ultimo della joint venture, il cui presupposto essenziale (o almeno uno dei presupposti essenziali) è rappresentato dalla complementarietà degli apporti dei singoli venturer, ognuno dei quali, quand’anche in misura disuguale, è di solito indispensabile al buon esito delle attività della JVCo e più in generale al successo della joint venture. E questo il motivo per cui, come appena detto, è del tutto normale che nel contratto determinate decisioni possano essere approvate soltanto con il consenso del venturer di minoranza, quale che sia, quantomeno entro certi limiti, la sua partecipazione nella JVCo. In caso di disaccordo tra i venturers il rischio è che la necessità di una simile condivisione decisionale possa portare ad un “empasse” (deadlock) nelle attività della JVCo. Il gruppo di clausole riconducibili a questa sezione è per l’appunto dedicata ai possibili modi per risolvere le eventuali controversie che dovessero insorgere tra i venturers in merito alle attività della società comune, e, da ultimo, nell’ eventualità che il deadlock rimanga irrisolto, le pratiche modalità per consentire il “divorzio” dei venturers, con uno dei due, solitamente il venturer di minoranza, che cede la propria partecipazione all’altro venturer sulla base di opzioni (put o call), le cui modalità di esercizio che dobbiamo disciplinare nel joint venture agreement che stiamo redigendo.

Sezione V – La fatica del redattore si conclude da ultimo con questa sezione che come tradizionalmente accade nei contratti internazionali, solitamente redatti utilizzando le drafting tecniques anglo-sassoni, è dedicata alle boiler-plate clauses (entire agreement, no waiver of rights, severability ecc). Sebbene le boiler-plate non manchino mai, soprattutto quando la controparte è assistita da uno studio legale anglo-sassone, è sempre bene ricordare che la loro reale efficacia dovrebbe essere valutata alla luce di quanto previsto dalla legge applicabile. Attenzione poi a non considerare come parte delle boiler-plate delle clausole che magari sono sì molto standardizzate ma che sono tutt’altro che banali, tanto più in una equità joint venture, quali ad esempio quelle relative alla non trasferibilità / trasferibilità infragruppo delle partecipazioni dei venture della JVCo. E poi finalmente, e anche queste non sono e non vanno trattate alla stregua di boiler-plate clause, le disposizioni in tema di Applicable Law e Settlement of Disputes.

© Marco Bianchi riproduzione riservata – Maggio 2012

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