“AGREEMENT TO AGREE”, “BEST EFFORTS”, “BEST COMMERCIAL ENDEAVOURS”: IN FUGA VERSO NOWHERE?
In effetti capita qualche volta di leggere in un qualche contratto di durata debitamente sottoscritto (auspicabilmente tra quelli che non abbiamo contribuito a redigere …….. ) una qualche pattuizione con cui i contraenti si sono impegnati a trovare un accordo, in un momento successivo, in merito ad una qualche questione che, seppur non essenziale (o, quantomeno, non ritenuta tale all’atto della firma del contratto) dovrà comunque essere definita e concordata al fine di assicurare l’ordinato e puntuale svolgimento delle obbligazioni contrattuali dell’una e
dell’altra.
Nell’ambito di un contratto tra controparti Italiane, magari per risolvere un empasse negoziale e/o per chiudere velocemente la trattativa, ci si potrebbe forse illudere che la soluzione di rinviare una qualche questione possa essere in qualche maniera giustificabile, fidando sulla asserita non essenzialità (di diritto ma anche di fatto) della questione piuttosto che sugli obblighi di buona fede e di correttezza sanciti dal nostro Codice Civile. Ma si tratterebbe di una mera illusione, perché in caso di mancato accordo i contraenti si troverebbero di fronte all’alternativa di lasciare irrisolto il punto su cui in origine avrebbero pure voluto trovare un accordo oppure di avviare un contenzioso giudiziale per accertare se chi tra i due contraenti sia venuto meno all’obbligo di contrarre in buona fede.
Queste considerazioni probabilmente sono le ragioni per cui nei sistemi di common law, gli “agreement to agree”, o. se si preferisce, i “contract to make a contract” generalmente sono ritenuti privi di efficacia, in quanto “too uncertain to have any binding force”. E’ qui utile ricordare che nei sistemi di “common law”, che tanto influenzano le drafting techniques dei contratti internazionali, tradizionalmente non trovano spazio i concetti di buona fede e correttezza contrattuali, ma è pur vero che nell’interpretazione dei contratti i sistemi di “common law” ben conoscono il concetto di “reasonableness”, ragionevolezza : “a concept of a duty to carry on negotiations in good faith is inherently repugnant to the adversarial position of the parties in negotiation” “each party is entitled to pursue his )(or her) interest so long as he avoid making misrepresentations”.
Niente incertezze dunque nei contratti stipulati in un sistema giuridico di common law? Non è proprio così, visto che dalle drafting techniques anglosassoni, quando traslate nella pratica dei contratti internazionali, abbiamo mutuato termini quali “best efforts” (USA) e l’analogo “best endeavours” (U.K.), traducibili in “migliori sforzi”, poi ulteriormente declinati in “reasonable endeavours”, “reasonable commercial endeavours”, “all commercial endeavours”. Per fare un facile esempio del loro uso pensiamo ai termini di consegna in un contratto di somministrazione. Se il fornitore è disponibile ad impegnarsi specificheremo nel nostro contratto che “Delivery time, as set out in the Purchase Order(s), is of the essence”. Per contro se il fornitore non è disponibile ad assumere un impegno, ma intende piuttosto esprimere una disponibilità a fare quanto possibile per consegnare nel rispetto delle tempistiche richieste dal compratore probabilmente leggeremmo una previsione contrattuale di questo genere “The Supplier shall do its best efforts (best endeavours) to meet the delivery schedule set forth in the Purchase Order(s)”.
Ma quali sono i criteri per valutare se il contraente ha effettivamente posto in essere gli “efforts” promessi? Nel redigere un contratto internazionale la tendenza dei giuristi coinvolti è spesso quella di attribuire un valore via via crescente a seconda dell’aggettivo utilizzato per qualificare gli “efforts” (reasonable commercial efforts, reasonable efforts, best efforts). In realtà qualora l’eventuale disaccordo sfoci in una lite giudiziale non è detto che i giudici di common law diano per accettata una tale gradazione, valutandola invece alla luce del caso concreto e dei criteri in materia di interpretazione dei contratti propri della legge applicabile al contratto, e dunque interpretazione soggettiva e di buona fede se la legge regolatrice del contratto appartiene ad un sistema giuridico di civil law, interpretazione secondo ragionevolezza per i sistemi di common law.
Una domanda ovvia è quella di capire se buona fede e ragionevolezza siano tali da obbligare la parte che ha promesso gli efforts ad adottare una qualche azione o a svolgere una qualche attività, a prescindere dalla rilevanza dei costi che gliene deriverebbero. La tendenza più recente dei Tribunali US e UK è quella di ritenere che non sia questo il caso: “even in the face of a best efforts clause … a party is entitled to give reasonable consideration to its own interest” (LRV Aerospace and Defense Co. v. Thompson (in re Chauteaugay) District Court For The Southern District Of New York (1996), per un recente analogo caso Inglese si veda Rhodia International Holding Ltd v. Huntsman International LLC (2007) che potete leggere collegandovi al sito consigliato Bailii )
CONCLUSIONI E CONSIGLI PER I REDATTORI DI UN CONTRATTO INTERNAZIONALE
A questo punto le conclusioni credo che siano chiare: evitare di utilizzare la “scorciatoia” degli “agreement to agree” che in realtà non portano noi e i nostri clienti da nessuna parte. Non prendere alla leggera l’eventuale richiesta di controparte di assumere un impegno di best / reasonable / reasonable commercial efforts / endeavours, e, se non è possibile farne a meno, cercare di definire, alla luce del caso concreto, che cosa debba intendersi con tale termine (ad esempio “best efforts means efforts that (i) are comparable with efforts made under previous
contracts between the Parties or in compliance with practices that are usual in the <industry> sector, and (ii) that do not place an unreasonable economic / financial / commercial burden on the Party required to make them”.
© Marco Bianchi – riproduzione riservata – Aprile 2012