ACCADDE UN GIORNO: COME INTERPRETARE IL RUOLO DI GIURISTA D’IMPRESA?

Nell’ultimo libro che ho pubblicato, il “Manuale dei contratti internazionali”, come si conviene ad un libro giuridico nel testo ho inserito, ove opportuno, i relativi riferimenti alla dottrina e alla giurisprudenza. Diversamente da quel che di solito accade nei libri di diritto, ho però anche introdotto (rigorosamente in nota per non esagerare con le “innovazioni”) il riferimento a quelli che potremmo definire “casi di vita vissuta” che potevano contribuire ad esemplificare quanto scritto nel testo vero e proprio.

Più sotto approfitterò di una di tali note per iniziare a rispondere alla domanda che dà il titolo a questo post (ma per una risposta esaustiva un post solo non basta, quindi probabilmente ce ne saranno altri ….).

Una considerazione preliminare: essendo stato un in-house counsel, o, per dirla in italiano, un giurista d’impresa per gran parte della mia vita professionale, personalmente ritengo che il compito di un in-house counsel, o, per dirla in italiano, di un giurista d’impresa, sia quello di contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’azienda, riuscendo a coniugare gli aspetti giuridici con quelli di business in maniera creativa, tempestiva e «cost effective».

Detto così, auspicabilmente dovremmo essere tutti d’accordo con una simile affermazione. Il problema però è come tradurla in pratica.

Ritengo che nella realtà ciò comporti per il giurista d’impresa (ma lo stesso dovrebbe valere per l’avvocato che, esercitando la professione, quotidianamente assista le imprese) la necessità di mettere al centro della sua attenzione non solo il diritto, questo dovremmo darlo per scontato, ma proprio i colleghi (i clienti, seppur interni, del giurista d’impresa) e gli obiettivi che di volta in volta devono realizzare.

Per i giuristi d’impresa ciò significa (i) essere capaci, ove necessario, di accantonare il linguaggio proprio di noi giuristi e utilizzare un linguaggio immediatamente comprensibile per il cliente che giurista non è, (incidentalmente, osservo che questo è il messaggio fondamentale del Legal Design, a cui ho già dedicato uno specifico post, IL (NUOVO) LEGAL DESIGN (SENZA DIMENTICARE I PACISCENTI …) – BREVI CONSIDERAZIONI DI UN PRATICO), e (ii) avere una piena conoscenza dei processi aziendali e delle dinamiche del settore merceologico e del  mercato ove opera l’impresa, così da essere in grado di coniugare diritto e business con lo scopo ultimo di identificare e, per quanto possibile ridurre, i rischi insiti nelle scelte dell’impresa [1].

Se ciò accade il giurista d’impresa finisce per diventare agli occhi dei colleghi un “solutore di problemi” e, non infrequentemente, anche una sorta di “sparring partner” o di “sounding board” per valutare le strategie e le transazioni che l’impresa ipotizza di realizzare sui mercati ove essa opera.

È questo un ruolo molto spesso più gratificante in quanto così facendo, in ultima analisi, il giurista non è più tanto e soltanto un consulente che si limita a “dire il diritto”, ma un professionista che diviene parte integrante del processo decisionale dell’impresa, con la conseguenza, di cui il giurista d’impresa deve essere ben consapevole, di essere anch’egli responsabile, in uno con i suoi collegi delle diverse funzioni aziendali coinvolte, delle decisioni dell’impresa.

La competenza ma anche la responsabilità. Guardando alla mia personale esperienza ricordo che alcuni anni fa mi è capitato di negoziare un contratto di appalto di servizi abbastanza complesso con una grande impresa italiana[2]. Gli in-house counsel della nostra controparte aveva imposto di adottare come base per la negoziazione il loro testo standard (in realtà, vista la sua genericità, praticamente utilizzabile per qualsiasi tipo di servizio che la grande impresa avrebbe dovuto appaltare), corredato da una serie di allegati tecnici che dettagliavano gli elementi di business veri e propri, predisposti e poi nella sostanza negoziati soltanto dai manager di controparte.

Durante la negoziazione del testo contrattuale vero e proprio con i miei clienti chiedemmo l’inserimento nel contratto di una ragionevole penale che avrebbe dovuto garantirci da uno specifico inadempimento della grande impresa. Dopo una qualche discussione, i manager di controparte accettarono la nostra richiesta. Il loro in-house counsel pure accettò la nostra richiesta, alla condizione che la relativa clausola venisse però espunta dal contratto ed inserita in uno degli allegati tecnici.

Lì per lì non capimmo il senso di una simile richiesta in quanto il contratto prevedeva, ovviamente, che gli allegati fossero una parte integrante del contratto e quindi non comprendevamo il senso della richiesta del legale di controparte di spostare la clausola dedicata alle penali dalla sua collocazione normale, il corpo del contratto, agli allegati tecnici.

Lentamente, seppur allibiti, comprendemmo che l’unica giustificazione dello spostamento era la volontà del giurista d’impresa di controparte era quella di non assumere alcuna responsabilità in merito ai reali contenuti operativi del contratto, lasciando tale responsabilità ai manager di linea.

Così facendo il giurista d’impresa che avevamo di fronte finiva per sancire la “separazione” tra avvocati e businessmen, con l’avvocato che si limita a dare giuridica una “forma giuridica” destinata a registrare, in maniera generale, l’oggetto del contratto, lasciando ai manager di definire negli allegati “la sostanza” del rapporto contrattuale in discussione tra le parti, il che può essere molto tranquillizzante per l’avvocato ma non certo per gli interessi dell’impresa che questi rappresenta.

© Marco Bianchi Riproduzione riservata – Aprile 2022

[1] Cfr. Maria Celeste Vettese “Multinational Companies and National contracts”, in “Boilerplate Clauses, International Commercial Contracts and the Applicable Law”, a cura di G. Cordero-Moss, Cambridge, 2011: “The scope of an in-house lawyer’s role is to best allocate the risk relating to the transaction by combining the need for the internal procedures of the company and the law applicable to the specific situation”.

[2] Vedi nota 10 pag. 104 del mio “Manuale dei Contratti internazionali”.

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