UNA DIRETTIVA (UE) DA NON SOTTOVALUTARE

Ogni tanto le Direttive (UE) salgono agli onori della cronaca e le troviamo menzionate dai media e sui social. Intendiamoci spesso questo capita solo per alcune Direttive, quelle che apparentemente sembrano più bizzarre e di cui a prima vista molti non comprendono bene lo scopo o più semplicemente le considerano, a torto o a ragione, una riprova della asserita burocrazia europea.

Per fare degli esempi mi vengono in mente la Direttiva che alcuni anni fa ha fissato la misura minima delle vongole che potevano essere pescate, peraltro materia che in Italia era anche stata disciplinata nel 1968 dall’art.89 del DPR 02/10/1968 n.1639 concernente la disciplina della pesca marittima, e da quella più recente, che avrebbe dovuto essere recepita in Italia dal 3 luglio scorso, la Direttiva sulla plastica monouso del 2019, che tra le altre disposizioni prevede “il tappo attaccato alla bottiglia” allo scopo di far sì che i consumatori lo smaltiscano insieme alla bottiglia di plastica[1].

Questo articolo è però dedicato ad un’altra Direttiva, che, fatta eccezione per alcuni commenti su alcune riviste di diritto penale, non mi sembra aver avuto grande riscontro sui media e tantomeno sui social.

Devo premettere che la Direttiva, per l’argomento che tratta e l’ambito del diritto a cui attiene, quello penale, è lontana dagli argomenti che di solito approfondisco sul mio sito dedicato ai contratti internazionali ed anche, per dirla tutta, dalla mia esperienza professionale che, al più, ha episodicamente riguardato il solo diritto penale commerciale.

Uscendo dal mio tradizionale campo di interesse spero quindi di non essere incorso in qualche errore. Se è capitato me ne scuso in anticipo con i lettori.

In questo articolo voglio riassumere e commentare la DIRETTIVA 14 MAGGIO 2024 N. 2024/1385/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO SULLA LOTTA ALLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE E ALLA VIOLENZA DOMESTICA (di seguito “la Direttiva”).

  1. Gli scopi della Direttiva in sintesi

Come indicato nelle premesse (15 pagine e 95 paragrafi …) lo scopo dichiarato della Direttiva è quello di “fornire un quadro giuridico generale in grado di prevenire e combattere efficacemente la violenza contro le donne e la violenza domestica in tutta l’Unione. A tal fine essa rafforza e introduce misure in relazione a: la definizione dei reati e delle pene irrogabili, la protezione delle vittime e l’accesso alla giustizia, l’assistenza alle vittime, una migliore raccolta di dati, la prevenzione, il coordinamento e la cooperazione” … e “Alla luce delle specificità connesse ai reati di violenza contro le donne e di violenza domestica, è necessario stabilire un complesso di norme che affrontino il problema persistente della violenza contro le donne e della violenza domestica in modo mirato e rispondano alle esigenze specifiche delle vittime di violenza…” [2].

Nella sostanza la Direttiva, complessa e da leggere con molta attenzione, non si limita alla parte per così dire “punitiva” della questione, quella che identifica le norme penali che gli Stati membri dell’Unione Europea devono introdurre, se non l‘hanno già fatto, in tema di violenza contro le donne e di violenza domestica, ed i loro contenuti.

Ispirandosi e facendo seguito alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011 ed aperta alla firma l’11 maggio 2011 a Istanbul[3] (di seguito “la Convenzione di Istanbul”), basata sul tre distinti pilastri, le cosiddette “tre P”: prevenzione, protezione delle vittime e perseguimento dei colpevoli, la Direttiva si pone un obiettivo ambizioso  che non è soltanto quello di definire ed armonizzare all’interno della UE i reati connessi e conseguenti alla violenza contro le donne ma anche quello di dettare una serie una serie di disposizioni che devono essere adottate dagli Stati UE per scoraggiare, prevenire e combattere la violenza contro le donne e per assistere e proteggere le vittime di tale violenza.

In un certo senso lo spirito della Direttiva è quello di non lasciare da sole le donne vittime di violenza ma di organizzare il coinvolgimento delle istituzioni e quindi forze dell’ordine, autorità inquirenti e personale sanitario attribuendo loro un ruolo sempre più attivo nella lotta alla violenza contro le donne ed alla violenza domestica, senza limitarsi ad attendere che siano le sole donne a decidere se e quando far emergere casi di violenza di cui siano vittime e a rimanere sole nella lotta contro gli autori delle violenze.

  1. La struttura della Direttiva ed alcune osservazioni preliminari

La Direttiva consta di 51 articoli suddivisi in sette Capi: Capo 1 (“Disposizioni Generali”), Capo 2 (“Reati di sfruttamento sessuale femminile e minorile e criminalità informatica”), Capo 3 (“Protezione delle vittime e accesso alla giustizia”), Capo 4 (“Assistenza alle vittime”), Capo 5 (“Prevenzione e intervento precoce”), Capo 6 (“Coordinamento e cooperazione”) e Capo 7 (“Disposizioni finali”).

Prima di passare alla esposizione delle disposizioni della Direttiva, non di tutte ma quantomeno di quelle che mi sono sembrate più rilevanti, mi pare opportuno anticipare un paio di considerazioni.

La prima riguarda il Capo 2 e le fattispecie di reato riconducibili alla violenza contro le donne e alla violenza domestica. Sebbene molte di tali fattispecie, come è facilmente intuibile, siano già previste dalle disposizioni di legge dei singoli Stati, Italia compresa, la Direttiva pone una particolare attenzione alla c.d. criminalità informatica (artt.5-8), naturalmente non tanto in riferimento alle frodi informatiche di cui all’art. 640 cod.pen., quanto proprio in relazione alla violenza contro le donne, quando effettuata “tramite tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC)[4] (e quindi diffusione di materiale intimo, stalking online, molestie online, istigazione alla violenza e all’odio online) che anche per come sono formulati in quanto non si fa riferimento alle donne ma soltanto alle “persone” vittime dei reati in questione), in realtà il legislatore nazionale potrebbe decidere di applicare a prescindere dal genere della vittima.

La seconda considerazione, anch’essa riferita al Capo 2, riguarda l’assenza nell’elencazione dei reati del reato di stupro.

Naturalmente non si tratta di una dimenticanza, ma la conseguenza del fatto che in molti Stati EU la tradizionale definizione di “stupro”  presuppone l’esistenza di violenza, minacce o abuso di autorità, come ad esempio previsto in Italia dall’art. 609-bis del Codice Penale, e non corrisponde a quella, meno limitante, auspicata dall’art. 36 della  Convenzione di Istanbul che nel definire il reato di stupro fa invece riferimento più semplicemente “ad atti sessuali non consensuali” e quindi alla mancanza del consenso da parte della vittima (il c.d. “yes means yes approach”)[5].

La non menzione del reato di stupro nel Capo 2 è quindi il risultato di una sorta di compromesso: da un lato tale reato non viene espressamente indicato tra i reati di sfruttamento sessuale e minorile di cui al Capo 2, il che consente agli Stati UE che adottano l’approccio tradizionale di mantenere le norme in tema di stupro già in vigore, mentre dall’altro nel corpo della Direttiva il legislatore unionale non rinuncia a manifestare la propria interpretazione, basata sull’assenza del consenso da parte della vittima.

E’ questa la ragione per cui stupro non è presente tra i reati di cui al Capo 2, anche se per la verità  è invece menzionato in alcune parti della Direttiva, tra cui le premesse (par. 37) e l’art. 35 della Direttiva (“Misure specifiche per prevenire lo stupro e promuovere il ruolo centrale del consenso nelle relazioni sessuali“) che reintroducono, quasi incidenter tantum, l’interpretazione favorita dal legislatore unionale secondo cui il sesso non consensuale costituisce uno stupro ed  è di per sé reato, senza bisogno di minacce espresse, e ciò in considerazione dello stato di possibile soggezione psicologica della vittima.

  1. Le disposizioni della Direttiva

2.1. Premesse e definizioni (Capo 1)

Per rendere fin da subito più evidente l’approccio della Direttiva, prima di passare alla esposizione della parte più propriamente dispositiva della Direttiva mi sembra poi opportuno riportare un paragrafo delle premesse che mi ha colpito anche alla luce di casi recenti e che  personalmente mi pare significativo (e di cui avvocati e giudici italiani dovrebbero tener conto, visto il tenore di alcune sentenze in passato riportate dai media) “La produzione di prove del comportamento sessuale passato, delle preferenze sessuali e dell’abbigliamento della vittima per contestarne la credibilità e l’assenza di consenso nei casi di violenza sessuale, in particolare in caso di stupro, può rafforzare il perpetuarsi di stereotipi dannosi nei confronti delle vittime e portare a una vittimizzazione ripetuta o secondaria. Gli Stati membri dovrebbero pertanto garantire che le prove relative al comportamento sessuale passato della vittima, o ad altri aspetti della sua vita privata ad esso connessi, siano consentite soltanto se è necessario valutare una questione specifica nel caso di specie o per l’esercizio dei diritti della difesa”[6] (il concetto è comunque ribadito dall’art. 20 della Direttiva)[7].

Il punto di partenza della Direttiva sono le due definizioni di violenza contro le donne e di violenza domestica:

  1. a) «violenza contro le donne»: qualsiasi atto di violenza di genere perpetrata nei confronti di donne, ragazze o bambine solo perché donne, ragazze o bambine, o che colpisce le donne, le ragazze o le bambine in modo sproporzionato, che provochi o possa provocare danni o sofferenza fisica, sessuale, psicologica o economica, incluse le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, nella sfera pubblica come nella vita privata;
  2. b) «violenza domestica»: qualsiasi atto di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica, consumato all’interno della famiglia o del nucleo familiare, indipendentemente dai legami familiari biologici o giuridici, tra coniugi o partner o tra ex coniugi o partner, a prescindere che l’autore di tali atti conviva o abbia convissuto con la vittima;

2.2. Reati contro le donne, sanzioni e aggravanti

Qui di seguito l’elenco dei reati previsti dal Capo 2 della Direttiva (“Gli Stati membri provvedono affinché siano punite come reato le condotte intenzionali seguenti…”), ivi inclusi i crimini informatici, ove la violenza è commessa attraverso le tecnologie informatiche (artt. 5-8).  Per comodità, ove mi è sembrato opportuno, ho qui di seguito riportato il testo, o parte di esso, di singoli articoli della Direttiva a cui a volte ho aggiunto i miei commenti.

Molti di questi reati, ma non tutti, sono già presenti  nel  codice penale italiano (vedi tabella), o sono in qualche modo assimilabili a quelli della Direttiva, anche se in alcuni casi nel codice penale manca lo specifico riferimento alla violenza contro le donne, o proprio non vi è una esatta corrispondenza tra le disposizioni della Direttive e quelle del codice penale o, ancora, a ben guardare gli scopi delle due disposizioni appaiano differenti , e si compari per esempio l’art.8 della Direttiva “Istigazione alla violenza o all’odio online” e l’art. 604-bis. cod.pen. (Propaganda e istigazione a delinquere   per   motivi   di discriminazione razziale etnica e religiosa).

Art. 3 – Mutilazioni genitali femminili

Art. 4 – Matrimonio forzato

Art. 5 – condivisione non consensuale di materiale intimo o manipolato (Art. 5) Ovviamente qui il reato è costituito dal rendere accessibile (art.5.1. (a)) o dal manipolare per rendere accessibile (art.5.1. (b)) materiale intimo di una persona “tramite tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC)[8] e “senza il consenso di tale persona qualora tali condotte possano arrecare un danno grave a dette persone”, o anche soltanto minacciare tali comportamenti (art. 5.1. (c).

Art. 6 Stalking onlineGli Stati membri provvedono affinché siano punite come reato le condotte intenzionali consistenti nel sottoporre ripetutamente o continuamente un’altra persona a sorveglianza tramite TIC, senza il suo consenso o un’autorizzazione legale a tal fine, per seguirne o monitorarne i movimenti e le attività, qualora tali condotte possano arrecare un danno grave alla persona in questione.”.

Art. 7 Molestie online  – In questa fattispecie di reato sono compresi  comportamenti minacciosi o ingiuriosi, episodici o ripetuti e continuati, posti in essere da soli o insieme ad altri, nei confronti di una persona, via TIC (i.e. online), qualora tali comportamenti implichino il rischio della commissione di un qualche reato o se tali comportamenti possano indurre la vittima di tali molestie a temere seriamente per la propria incolumità o per l’incolumità delle persone a suo carico o possano arrecare un grave danno psicologico alla persona in questione che li subisce.

Alle molestie online è poi ricondotta la messa a disposizione del pubblico, tramite TIC, di materiale contenente i dati personali di una persona, senza il consenso di quest’ultima, al fine di istigare altre persone ad arrecare un danno fisico o psicologico grave alla persona in questione.

Art. 8 Istigazione alla violenza o all’odio online la condotta intenzionale consistente nell’istigare alla violenza o all’odio nei confronti di un gruppo di persone o di un membro di detto gruppo definito con riferimento al genere, diffondendo al pubblico tramite TIC materiale contenente tale istigazione”, lasciando peraltro ai singoli Stati la decisione “di configurare come reato soltanto le condotte atte a turbare l’ordine pubblico o che sono minacciose, offensive o ingiuriose”.

Art. 9 Istigazione, favoreggiamento, concorso e tentativoQuesto articolo prevede che siano puniti come reato (i) l’istigazione a commettere i reati di cui agli articoli da 3 a 6 e all’articolo 7, primo comma, lettera b), (ii) il favoreggiamento e il concorso nei reati di cui all’articolo 3, primo comma, lettera a), e agli articoli da 4 a 8 e (iii) il tentativo di commettere i reati di cui agli articoli 3 e 4.

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 I reati previsti dalla Direttiva e i possibili riferimenti al codice penale italiano[9]

Mutilazioni genitali femminili (Art.3 Direttiva) – Art. 583 bis cod.pen.

Matrimonio forzato (Art. 4 Direttiva) – Art. 558 bis cod.pen.

Condivisione non consensuale di materiale intimo o manipolato (Art. 5 Direttiva) – Art. 612 ter cod.pen. *

Stalking online (Art. 6 Direttiva) Art. 612-bis. cod.pen.*

Molestie online (Art.7 Direttiva) –  Art. 609-ter. 1. cod.pen. – (Molestie sessuali)*

Istigazione alla violenza o all’odio online (Art. 8 Direttiva) – Art. 604-bis. cod.pen. (Propaganda e istigazione a delinquere   per   motivi   di discriminazione razziale etnica e religiosa).

*nel codice penale italiano punibile a querela della persona offesa

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Art. 10 Sanzioni  – Questo articolo prevede che i reati di cui agli articoli da 3 a 9 siano puniti con sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive, ma non si limita a fissare un mero principio, anche stabilendo il minimo delle pene massime che possono comminate in relazione alle fattispecie di reato di cui agli articoli precedenti (fatta eccezione per l’art.8, quello relativo all’istigazione alla violenza o all’odio online che non viene menzionato in questo art.10) e più specificamente (i) reati ex art. 3: reclusione non inferiore nel massimo ad anni cinque, (ii) reati ex art. 4: reclusione non inferiore nel massimo ad anni tre, (iii) reati ex artt. 5, 6 e 7, primo comma, lettere a), b) e d): la reclusione non inferiore nel massimo a un anno

Art. 11 Circostanze aggravanti Nella misura in cui non siano già parte degli elementi costitutivi dei reati di cui agli articoli da 3 a 8, gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché una o più delle seguenti circostanze possano essere considerate, conformemente al diritto nazionale, circostanze aggravanti in relazione ai pertinenti reati di cui agli articoli citati:

  1. a) il reato, o altro reato di violenza contro le donne o di violenza domestica, è reiterato;
  2. b) il reato è commesso nei confronti di una persona in situazione di particolare vulnerabilità, ad esempio in stato di dipendenza o di disabilità fisica, mentale, intellettuale o sensoriale;
  3. c) il reato è commesso nei confronti di un minore;
  4. d) il reato è commesso in presenza di un minore;
  5. e) il reato è commesso da due o più persone che hanno agito insieme;
  6. f) il reato è preceduto o accompagnato da violenza di estrema gravità;
  7. g) il reato è commesso con l’uso di un’arma o con la minaccia di usare un’arma;
  8. h) il reato è commesso con l’uso della forza o con la minaccia di usare la forza o con costrizione;
  9. i) la condotta ha causato la morte della vittima o arrecato un grave danno fisico o psicologico alla vittima;
  10. j) l’autore del reato è stato già condannato per reati della stessa indole;
  11. k) il reato è commesso nei confronti di un coniuge o partner o di un ex coniuge o partner;
  12. l) il reato è commesso da un familiare o altra persona convivente con la vittima;
  13. m) il reato è commesso abusando di una posizione riconosciuta di fiducia, autorità o influenza;
  14. n) il reato è commesso nei confronti di una persona perché questa era un rappresentante pubblico, un giornalista o un difensore dei diritti umani;
  15. o) il reato era finalizzato a difendere o ripristinare il cosiddetto «onore» di una persona, una famiglia, una comunità o altro gruppo analogo;
  16. p) il reato era finalizzato a punire la vittima per l’orientamento sessuale, il genere, il colore, la religione, l’origine sociale o le convinzioni politiche della vittima.”.

Art. 12 Giurisdizione  – Tale articolo dispone la giurisdizione dello Stato UE qualora uno dei reati di cui agli articoli da 3 a 9 sia stato commesso nel suo territorio o da un suo cittadini (art.12.1 (a) e (b)), o quando l’autore del reato risiede abitualmente nel suo territorio (art. 12.2. (b)).

A ciò si aggiunga che per i reati di cui agli artt. 5 a 9 (i.e. i crimini informatici realizzati tramite TIC, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione) la giurisdizione spetta allo Stato ove l’autore ha avuto accesso a tali tecnologie, “a prescindere dal fatto che il prestatore di servizi intermediari sia basato o meno sul loro territorio” (art.12.3).

La disposizione che però mi sembra più dirompente (e spero di non sbagliarmi, perché come ho già detto, non sono un penalista) è quella dell’art. 12.5 che prevede che ove l’autore del reato sia un cittadino di uno Stato UE, l’esercizio della giurisdizione di tale Stato non è “subordinato alla condizione che il reato sia perseguibile solo su querela della vittima nel luogo in cui è stato commesso il reato o su denuncia dello Stato sul cui territorio è stato commesso il reato[10].

Art. 13 Prescrizione – La Direttiva si limita a richiedere che gli Stati membri dispongano un termine di prescrizione che “consenta di condurre le indagini, esercitare l’azione penale, svolgere il processo e adottare la decisione giudiziaria in merito ai reati di cui agli articoli 3 e 9 entro un congruo lasso di tempo successivamente alla commissione di tali reati, al fine di contrastarli efficacemente. Il termine di prescrizione è commisurato alla gravità del reato in questione”, fermo restando che il termine di prescrizione per i reati di cui all’art.3 (“mutilazioni genitali femminili”) deve iniziare a decorrere dal compimento di 18 anni di età della vittima.

2.3. Protezione delle vittime, accesso alla giustizia e assistenza alle vittime

 Come detto Il Capo 3 (artt. 14-24) contiene norme dettagliate volte ad assicurare la protezione delle vittime e a facilitare il loro accesso alla giustizia. Anche in questo caso ho citato soltanto le disposizioni dei singoli articoli che mi sembrano avere una maggior rilevanza.

Art. 14 (Denuncia di violenza contro le donne o di violenza domestica): tra le altre disposizioni, quelle più significative mi sembrano (i) la possibilità di formalizzare online le segnalazioni di reati commessi tramite TIC, (ii) l’accesso al patrocinio dello Stato per le vittime,  (iii) il la possibilità per i professionisti della sanità soggetti a obblighi di riservatezza di segnalare alle autorità competenti i casi in cui abbiano fondati motivi per ritenere che sussista il rischio imminente che una persona subisca un danno fisico grave risultante da violenza contro le donne o da violenza domestica, (iv) se la vittima è un minore, fatte salve le norme sul segreto professionale, la possibilità per i professionisti soggetti agli obblighi di riservatezza di segnalare alle autorità competenti i casi in cui abbiano fondati motivi per ritenere che un minore abbia subito un danno fisico grave a causa di violenza contro le donne o di violenza domestica (v) la possibilità del minore di presentare una denuncia contro di chi esercita la potestà genitoriale,  senza che questi ne sia informato se non dopo che siano state adottate tutte le misure necessarie per la protezione del minore;

Art. 15 (Indagini e azione penale): le autorità competenti incaricate dalle indagini e dell’azione penale (i) devono disporre delle risorse e delle competenze necessarie per raccogliere, analizzare e procurare prove nei casi di criminalità online di cui agli artt.5-8 della Direttiva, (ii) devono avviare senza indugio le indagini e l’azione penale e se del caso, adottare le misure di protezione ex art.19 della Direttiva, (iii) in caso di fondato sospetto della commissione di un reato, devono avviare le indagini a seguito di denuncia o, in mancanza, di propria iniziativa, fermo restando che in caso di stupro le indagini o l’azione penale  non sono subordinate alla denuncia della vittima e l’azione penale non può essere interrotta anche se la denuncia sia stata poi ritirata.

Art.16 (valutazione individuale delle esigenze di protezione delle vittime): (i) le esigenze di protezione delle vittime devono essere valutate individualmente, concentrandosi sul rischio rappresentato dall’autore del reato, (ii) sulla base di tale valutazione le autorità competenti adottano misure di protezione adeguate, quali ad esempio ordini di allontanamento, ordinanze restrittive e ordini di protezione ex artt. 19 e 37 della Direttiva.

 Art. 19 (Ordini urgenti di allontanamento, ordinanze restrittive e ordini di protezione): (i) Tali provvedimenti hanno effetto immediato e prescindono dal fatto che la vittima abbia denunciato o meno il reato (ii) le violazioni dei provvedimenti adottati sono soggette a sanzioni penali o altre sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, (iii) gli Stati membri provvedono affinché alla vittima sia offerta la possibilità di essere informata, senza indebito ritardo, in caso di violazione di un ordine urgente di allontanamento, di un’ordinanza restrittiva o di un ordine di protezione, che potrebbe avere un impatto sulla sua incolumità.

 Art. 20 (Protezione della vita privata della vittima): come già accennato più sopra, “ai fini dei procedimenti penali, siano ammesse prove relative al comportamento sessuale passato della vittima o ad altri aspetti della sua vita privata a quello connessi, solamente se ciò sia pertinente e necessario”.

 Art. 21 (Orientamenti per le forze dell’ordine e le autorità inquirenti: la Direttiva dispone che gli Stati membri possano (non è quindi un obbligo) orientamenti per le autorità competenti che agiscono nei procedimenti penali.

Art. 23 (Misure per la rimozione di materiale online): Le autorità competenti devono avere il potere di emanare ordini giuridici vincolanti nei confronti dei prestatori di servizi di hosting e di servizi intermediari per la rimozione o la disattivazione all’accesso al materiale online accessibile al pubblico di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettere a) e b), e agli articoli 7 e 8 (i.e. i crimini informatici).

Art.24 (Risarcimento a carico dell’autore del reato): Questo articolo prevede che “la vittima abbia il diritto di chiedere all’autore del reato, a norma del diritto nazionale, il risarcimento integrale dei danni derivanti da reati di violenza contro le donne e di violenza domestica” (art. 24.1.) disponendo poi che “gli Stati membri provvedono, se del caso, affinché le vittime possano ottenere una decisione di risarcimento nel corso del procedimento penale” (art. 24.2.). In realtà nel secondo comma di questo articolo con l’inciso “se del caso” (“where appropriate” nel testo inglese) mi sembra che il legislatore unionale finisca per esprimere un mero auspicio ma lasci poi ai singoli Stati decidere come e se applicarlo …

Il successivo Capo 4 (Artt.25-33) è dedicato all’assistenza alle vittime, e dispone che per esse” indipendentemente dal fatto che abbiano presentato querela” siano disponibili servizi di assistenza specialistica. A tale proposito l’art. 25 fa un riferimento ai servizi di una precedente Direttiva UE, la 2012/29/UE[11], per poi fornire una prima elencazione di servizi.

Un riepilogo generale di quali debbano essere tali servizi si ritrova poi all’art.25.4 secondo cui “Gli Stati membri forniscono la protezione e i servizi di assistenza specialistica necessari per rispondere in modo esauriente alle molteplici esigenze delle vittime, prestando tali servizi, inclusi quelli provenienti da organizzazioni non governative, in una medesima sede, coordinando tali servizi attraverso un punto di contatto, oppure facilitando l’accesso a tali servizi mediante un unico punto di accesso online”. Tali servizi “comprendono almeno l’assistenza medica di prima necessità e l’indirizzamento a ulteriori cure mediche, come previsto dal sistema sanitario nazionale, nonché i servizi sociali, il sostegno psicosociale, i servizi legali e i servizi di polizia, o informazioni su tali servizi e su come raggiungerli”, precisando poi all’art. 25.8 che le vittime “possano usufruire dei servizi di assistenza specialistica di cui al paragrafo 1 prima, durante e per un congruo periodo dopo la conclusione del procedimento penale”.

Gli articoli seguenti sono dedicate all’assistenza dovuta in relazione a specifici reati (e qui vale la pena di citare l’art. 28 (Assistenza specialistica alle vittime di molestie sessuali sul lavoro).

Il Capo 4 identifica poi una serie di strumenti che gli Stati UE devono predisporre per assistere le vittime di violenza contro le donne e di volenza domestica. Qui di seguito ho evidenziato soltanto quelli essenziali che

Art. 25.5 e 25.6. – predisposizione di “orientamenti e protocolli per i professionisti della sanità e dei servizi sociali e dei servizi su come individuare le vittime, fornire un’assistenza adeguata e indirizzarle verso i pertinenti servizi di assistenza, nonché evitare la vittimizzazione secondaria”;

Art. 26.1 – predisposizione di centri anti-stupro o centri anti-violenzaadeguatamente attrezzati e facilmente accessibili, che possono far parte del sistema sanitario nazionale, per garantire un’assistenza efficace alle vittime di violenza sessuale e assicurare la gestione clinica dello stupro, anche assistendo nel conservare e documentare le prove”.

Art. 29 – predisposizione di “linee di assistenza telefonica a livello stataledisponibili gratuitamente 24 ore al giorno e sette giorni alla settimana, per fornire informazioni e consulenza alle vittime”.

Art. 30.1. e 30.3. – disponibilità di case rifugio e altre eventuali sistemazioni temporanee …  “che assistono le vittime nel percorso di recupero, fornendo loro condizioni di vita sicure, facilmente accessibili e adeguate ai fini del ritorno a una vita indipendente, e fornendo informazioni sui servizi di assistenza e di indirizzamento, anche per un’ulteriore assistenza medica.” e “Le case rifugio e altre eventuali sistemazioni temporanee devono essere disponibili per le vittime e le persone a loro carico fino all’età di 18 anni, indipendentemente dalla loro nazionalità, cittadinanza, luogo di residenza o status di soggiorno”.

2.4. Prevenzione e intervento precoce e coordinamento e cooperazione

Assistere e proteggere le vittime nonché punire gli autori dei reati non esaurisce gli scopi della Direttiva in quanto altrettanto importante è la prevenzione dei reati contro le donne e la capacità di intervenire il prima possibile e alla prevenzione è dedicato il Capo 5 della Direttiva.

Come chiarito dall’art. 34.5, “Le misure preventive mirano in particolare a contrastare gli stereotipi di genere dannosi, a promuovere l’uguaglianza di genere, il rispetto reciproco e il diritto all’integrità personale …”.

Le misure preventive previste dalla Direttiva includono campagne di sensibilizzazione rivolte ai giovani (art.34) e programmi di formazione ed informazione dei professionisti che hanno probabilità di entrare in contatto con le vittime (agenti di polizia, personale giudiziario, giudici, avvocati, personale sanitario, assistenti sociali) (art.36).

Il Capo 6 riguarda il coordinamento e la cooperazione, in primo luogo, tra tutte le autorità, le agenzie e istituzioni, incluse le organizzazioni non governative, coinvolte nella prevenzione e nella lotta alla violenza contro le donne e contro la violenza domestica (artt. 38 e 40) mentre il Capo 7, l’ultimo, prevede, come in tutte le Direttive, le Disposizioni Finali, e qui va citato l’art. 49  (“Recepimento”) che fissa la data entro cui gli Stati UE devono adottare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla disposizioni della Direttiva, dandone immediata informazione alla Commissione: 14 giugno 2027.

  1. Alcune possibili conclusioni

Come detto all’inizio di questo articolo ho chiarito che non sono e non sono mai stato un penalista e quindi le mie conclusioni nella sostanza sono quelle di un “non addetto ai lavori”.

La finalità della Direttiva mi sembrano chiare e riguardano non tanto e soltanto l’armonizzazione delle norme penali in tema di violenza contro le donne all’interno della Unione Europea ma anche la strutturazione di un sistema di supporto che non lasci sole le donne vittime di violenza siano accompagnate, consigliate e protette durante il percorso destinato, auspicabilmente, a condannare l’autore o gli autori della violenza.

Non che la parte più strettamente giuridica della Direttiva, il Capo 2, non contenga delle novità non banali.

La prima, che ho già sopra commentato, è quella relativa al venir meno della necessità della querela della vittima per l’avvio delle indagini o il fatto che l’eventuale successivo ritiro della querela non impedirà il proseguimento del procedimento penale.

E quindi dopo il recepimento della Direttiva non dovrebbe più capitare di sentire il giornalista che al telegiornale commenta con voce grave l’ennesimo caso di violenza “Aveva denunciato l’ex ma poi aveva ritirato la denuncia …). E non dovrebbe più capitare che la vittima ricoverata per la terza volta in pronto soccorso con gli occhi neri spieghi che tutte e tre le volte è caduta dalle scale e non intende presentare alcuna denuncia. Infatti come previsto dall’art. 14.4. della Direttiva, dopo il suo recepimento, lo faranno per lei (dovrebbero farlo per lei) i professionisti della sanità dopo averla visitata.

L’altra novità degna di nota del Capo 2 è quella relativa ai crimini informatici (artt. 5-8) ove la formulazione delle fattispecie di reati informatici offerta dalla Direttiva non lascia dubbi interpretativi di sorta in quanto meglio si attaglia alla realtà di oggi ed all’uso criminale di internet e dei social. Ebbene sì quando la Direttiva verrà recepita dal legislatore italiano ci saranno sicuramente coloro che scopriranno a loro spese che tempestare quotidianamente la ex-compagna con decine o centinaia di mail è stalking non solo è una possibile molestia ma di per sé stesso è un reato.

Un’ulteriore considerazione sui crimini informatici di cui agli artt. Da 5 a 8: le disposizioni della Direttiva sono mirate a combattere la violenza contro le donne, ma in realtà potrebbero essere applicate a prescindere dal genere della vittima. Così lo stalking nei confronti di una donna è un reato e se si tratta di una giornalista vi è pure un’aggravante. Ma se la vittima fosse un uomo, anch’esso giornalista perché la situazione dovrebbe essere diversa? Vedremo.

Come detto la Direttiva deve essere recepita entro tre anni (14 giugno 2027). Vedo un problema non tanto legato ad un problema giuridico quanto alle risorse finanziarie necessarie per realizzare le misure e gli strumenti previsti dalla Direttiva per assistere e proteggere le vittime, per prevenire la violenza contro le donne e per formare ed orientare il personale che in tutte le istituzioni pubbliche dovrà essere coinvolto e impiegato in tali attività.

 

Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica – Istanbul, 11 maggio 2011 consultabile all’indirizzo https://rm.coe.int/16806b0686

Direttiva 14 maggio 2024 n. 2024/1385/UE sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica consultabile all’indirizzo https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=OJ:L_202401385

Parlamento UE “Definitions of rape in the legislation of EU Member States” consultabile all’indirizzo https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/IDAN/2024/757618/EPRS_IDA(2024)757618_EN.pdf

 

[1] I tappi e i coperchi di plastica sono tra i cinque oggetti più trovati nelle operazioni di pulizia e monitoraggio dei rifiuti e si stima che negli ultimi trent’anni ne siano stati rinvenuti in particolare 20 milioni in tutto il pianeta (fonte articolo Wired 3.7.2024).

[2] Rispettivamente par 1 e 5 delle premesse.

[3] La Direttiva, aperta alla ratifica anche di Stati non UE, è stata ratificata da 46 nazioni e dalla stessa Ue. Gli Stati membri dell’Unione Europea che non hanno ancora ratificato la Convenzione di Istanbul sono Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Lituania e Slovacchia. La Turchia che aveva ratificato la Convenzione nel 2012 ha poi ritirato la ratifica nel 2021.

[4] Il riferimento è ad internet e ai social ma, almeno a mio parere, anche agli smartphone).

[5] La prima bozza della Direttiva conteneva un articolo relativo alla definizione del reato di stupro che è stato poi eliminato proprio in conseguenza del dissenso nel Parlamento e nel Consiglio UE in merito a quale dei due distinti approcci dovesse essere adottato.  Per una sintesi delle disposizioni in tema di stupro nelle singole legislazioni nazionali degli Stati UE si può consultare il documento del Parlamento europeo “Definitions of rape in the legislation of EU Member States”.

[6] Par. 48 premesse

[7] La ratio della norma è quella di evitare che la vittima di un reato subisca una “vittimizzazione secondaria”, intendendosi con tale termine fare riferimento al disagio emotivo e psicologico derivante dai metodi usati nei suoi confronti dalle forze di polizia e degli appartenenti al sistema giudiziario

[8] Il riferimento è ad internet e ai social ma, almeno a mio parere, anche agli smartphone).

[9] Fatti salvi eventuali errori o mancati riferimenti di un civilista come me …

[10] La disposizione di cui all’art. 12.5. è, solo per certi versi, anticipata dal par. 37 delle premesse (“Le indagini o l’azione penale in relazione agli atti di stupro non dovrebbero essere subordinate alla querela o alla denuncia da parte della vittima o del suo rappresentante. Analogamente, il procedimento penale dovrebbe proseguire anche nel caso in cui la vittima ritiri la denuncia. Ciò non pregiudica la facoltà delle autorità responsabili dell’azione penale di interrompere il procedimento penale per altri motivi, ad esempio qualora concludano che non esistono prove sufficienti per portarlo avanti”) e si ritrova anche all’art. 15.5 (“Indagini ed azione penale”) ove si stabilisce che “le indagini o l’azione penale in relazione ad atti di stupro non siano subordinate alla querela o alla denuncia della vittima …” e che “il procedimento penale non sia interrotto per il solo fatto che la querela o la denuncia è stata ritirata”. Queste due disposizioni non sono il frutto di un mancato coordinamento con l’art. 12.5 che già sancisce il principio. Più semplicemente, come già accennato, il legislatore unionale, non avendo voluto o potuto inserire il reato di stupro nel Capo 2, si è poi ritrovato a ribadire specificatamente per tale reato di stupro il principio generale di cui all’art. 12.5. Ipersemplificando si potrebbe concludere che il ragionamento del legislatore sia stato “no formalmente lo stupro non viene ricompreso tra i reati di sfruttamento sessuale di cui al Capo 2, ma nella pratica avrebbe dovuto esserci e abbiamo quindi cercato di rimediare inserendo nella Direttiva dei riferimenti che chiariscono che si tratta comunque di un reato a cui si applicano le disposizioni della Direttiva”.

[11] Direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, con specifico riferimento ai suoi articoli 8.3. e 9.3. Da notare che l’art.8.3. Della Direttiva 2012/29/UE stabilisce che i servizi di assistenza specialistica siano gratuiti.

Marco Bianchi© Riproduzione riservata – Agosto 2024

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